venerdì 7 marzo 2008

Quando la fine?














Anche oggi immagini di dolore ci scorrono davanti, così come ieri, come la settimana scorsa, come sempre.
Non è la Madonna di Michelangelo, liscia, bianca, perfetta che stringe tra le braccia il figlio morto, ma dai suoi occhi filtrano il dramma e la disperazione, l'agitazione che l'attornia le arriva ovattata, la mente ghiacciata rifiuta i pensieri, sa solo stringere suo figlio.
E non fa differenza se il figlio è ebreo o palestinese, l'angoscia muta è la stessa, la lacerazione dell'identità la medesima.
Sa chiedersi solo perchè, infiniti perchè che si rincorrono nella terra di latte e miele.
Quest'estate mi sono fermata solo sette giorni; da turista è impossibile in così breve tempo leggere la realtà circostante.
Però le abitazioni scrostate o incompiute, le divise smunte dei soldati, i ragazzi che assillanti volevano venderti la loro acqua gelata li ho visti solo a Betlemme, gli agglomerati di case sorti dal nulla a predare territori spartiti erano costruiti da alcuni soltanto, solo al nostro autista, che era arabo, è stato impedito l'accesso all'aeroporto.
A Gerusalemme, invece, i ragazzi-soldato strappati da casa e obbligati alla leva sembravano allegri fare foto ricordo al muro del pianto, rimuovendo per poche ore l'incubo di trovarsi in un check-in distrutti dalla tensione e dalla stanchezza a dover decidere se sparare a chi ti viene incontro, perchè forse imbottito di esplosivo. O, alle fermate degli autobus, la gente far la coda allontanando il pensiero che forse quello sia l'ultimo viaggio e soldati a terra per individuare sotto le automobili possibili bombe.
Esiste una via d'uscita quando rancore ed odio si alternano nel cuore dell'uomo, quando il confine tra giustizia e ingiustizia si sfuma a tal punto da trovarsi circondati solo da nebbia?
Non so la risposta, non conosco rimedi.
Vorrei solo che nessuna mamma mai stringesse tra le braccia un figlio morto.

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