martedì 25 marzo 2008

Dalla trasferta in Veneto

Il viaggio di andata
Ora fissata per la partenza: 9.30 per avere il tempo di lasciare la casa in ordine.
Ora effettiva della prima partenza: 10.45 perché come al solito ho potuto contare sulla collaborazione di molti (e il tutto nella calma più serafica, perché quando il cuore è sereno non c’è inconveniente che possa sconvolgerci)
Ora seconda partenza: 11.05 perché prima dell’entrata in autostrada mi sono ricordata che non avevo preso nessuna mia medicina e fosse dipeso da me non sarei tornata indietro, ma tutti gli altri concordi a fare inversione di marcia e medicine recuperate
Entrata in autostrada, dopo opportuna deviazione fino alla prima rotonda onde poter ritornare sui propri passi, perché al momento di svoltare a destra l’autista parlava al telefono e non basta il viva voce per stare attenti alla guida.
Telefonata che poi è durata fino a Brescia con tutti zitti per non disturbare.
Display che avvisa di code per incidente tra Brescia Est e Desenzano e conseguente uscita, nonostante il mio parere contrario, per avventurarci su stradette alternative, incolonnati a 50-60 chilometri orari perché tanti altri hanno avuto la nostra stessa idea.
Rientro in autostrada e poco dopo il sorpasso di viaggiatori che già avevamo sorpassato prima dell’uscita (commento: come vedi abbiamo perso pochissimo e non ci siamo annoiati fermi in colonna, dimenticando che eravamo usciti per guadagnare tempo, non per perderne poco)
Inizio di litigata furiosa per la scelta della musica da ascoltare, compromesso precario con borbottii di disappunto per ogni canzone saltata (sono la più vicina al pulsante della radio e quindi ho il potere della gestione), minacce di scaricare qualcuno per strada, quando dopo due ore così vicini nessuno sopporta più nessuno, azione di forza per ascoltare le notizie del giornale radio, ma la meta è vicina.

Sotto un cielo di sfumature di grigio, distese di peschi fioriti colorano di rosa i bordi dell’autostrada e, chiusi gli occhi, tutto il frastuono diventa un ronzio lontano.




L’arrivo
Catapultati nel freddo: ancora non sono fiorite le magnolie, albicocchi e peschi stanno giusto aspettando l’equinozio, una o due piante di mimosa tra le avanguardiste, tutte le punte delle foglie dei sempreverdi di un malinconico giallino, testimoni di un gelo recente.
La caldaia, come previsto, non vuol partire.
Non si sa se sia meglio stare in casa alla temperatura di otto gradi o stare fuori alla temperatura di otto gradi, maledicendomi perché improvvida non ho portato i guanti.
Dopo un’ora di tentativi la caldaia, mezza smontata, resta accesa e per dar tempo alla casa di scaldarsi un poco partiamo per un sopralluogo.
Desolazione per lo scempio al territorio: case e grattacieli in costruzione ovunque, strade che intersecano strade costellate da rotatorie nelle quali troverebbe posto un condominio, mucchi di terriccio e sabbia depositati in mezzo ai campi forse in attesa dell’erosione eolica.
Meglio concentrare l’attenzione sul Sile. Nel suo lento procedere verso il mare si porta via il riflesso delle case variopinte e dei salici piangenti appena velati di un verde chiarissimo; gruppetti di anatre e qualche cigno lo solcano incuranti del freddo (solo l’idea di toccare l’acqua del fiume mi fa rabbrividire), gabbiani che sembrano galline accovacciati sulla riva, un’intrepida gazza cerca di volare e viene sospinta dal vento come una barca alla deriva, qua e là macchie di giallo di fiori acquatici che non riesco ad identificare.

Meglio concentrare l’attenzione sulla laguna a cui il grigio del cielo fa assumere sfumature d’argento, bordata da canne ormai secche che ancora resistono al vento ondeggiando piano, con cespugli bassi e isolotti brunastri a ricordare che è solo cugina del mare, con le dame di legno corrose dalla salsedine e minate dai lamellibranchi in inutile attesa di barche altrettanto minate

Il risveglio
La nebbia (qui la nebbia c’è tutto l’anno) comincia a dissolversi sulla campagna arata.
Il vento fa sbattere una contro l’altra le rigide foglie delle palme producendo un suono cadenzato e secco, tra i rami ancora spogli si vedono i nidi degli aironi ma sembrano abbandonati, il verso di un uccello invisibile si alterna ai latrati di un cane.
Il tempo sembra sospeso ma una fitta alla tempia mi riporta alla realtà: comincia la mattina e ho già il mal di testa, probabilmente manca ossigeno, l’umidità non è adeguata, la temperatura è secondo gradiente decrescente dal soffitto al pavimento.
Infatti la testa ha caldo e i piedi sono gelati.
Appena apri l’acqua calda la caldaia si spegne; bisogna scendere a controllare se il gatto è ancora vivo, pulire il ripostiglio dove l’abbiamo messo e farsi massacrare la mano nel tentativo di fargli inghiottire l’antibiotico.
La sistemazione della mansarda dove stiamo è piuttosto rapida (vantaggio dei 40 metri quadrati scarsi) e soprattutto tra le nuvole si comincia a vedere l’azzurro e forse apparirà anche il sole.

Uscita
Ma il sole spaventato dal vento sferzante si nasconde dietro nuvole sempre più scure.
Prima che piova le femmine di casa mi trascinano verso la spiaggia.
Si deve attraversare un tratto di pineta costellato da casettine microscopiche, tutte chiuse e in disfacimento.
La vita frenetica del centro qui arriva soltanto verso maggio a soffocare gli scricchiolii e a disperdere le essenze delle conifere.
Osservo le pigne pendule, gli aghi disseccati e penso che se i miei occhi fossero quelli dei miei alunni, sarebbe molto più semplice farsi capire da loro.
La spiaggia bagnata permette di camminare senza sprofondare, l’aria sempre più vigorosa ti scaglia lame d’acciaio sul viso, qualcuno in lontananza sfida le onde avvicinandosi al limite della marea.

Anche noi allora possiamo, anche noi a rischiare l’inondazione delle scarpe alla ricerca dei cadaveri dei molluschi dei quali non sapremo poi che farcene, a sfidare i cartelli di divieto per raggiungere l’estremità dei moli, perché bisogna stare lì ferme ad aspettare che la nostra immagine venga immortalata tra le ondate, con i capelli alla “Crudelia De Mon” ormai insensibili anche al freddo.
Orme dirette verso ovest, scritte incise sulla battigia, rami e rametti intrecciati a sacchetti di plastica, cocci di vetro non ancora levigati dalle onde.

Il mare di un verde-grigio screziato di schiuma bianca abbandona sulla riva bolle in rincorsa una dell’altra che sembrano piccole meduse perse in un gioco infantile e sembra urlare al mondo la sua rabbia per la frenata a cui lo costringe il fondale.
Cominciano anche a cadere gocce di pioggia.


Riti pasquali
Il parroco di Rosciate tutti gli anni ripete che la funzione più importante per i fedeli è la veglia pasquale e invita in modo pressante tutti a parteciparvi.
Evidentemente il messaggio qui è diverso perché la sera del sabato in chiesa restano parecchi posti vuoti mentre la domenica mattina la calca è tale che ci si fa largo con estrema difficoltà.
Per non fare torto a nessuno noi partecipiamo ad entrambe.
Certo è che mantenere atteggiamento consono alle circostanze diventa difficile quando per tenere acceso il braciere posto sul piazzale, più che legna e carbon
e serve un liquido infiammabile non meglio identificato, quando il vento si diverte a lanciarti addosso briciole infuocate cambiando direzione ogni volta che cambi la tua posizione, quando l’incenso non vuol saperne di cominciare a mandare fumo. Perfetto sincronismo in seguito, al punto che abbiamo corso il rischio di non poter sentire la lettera di S. Paolo ai Romani se con voce baritonale il lettore non si fosse imposto, soverchiando le parole del parroco.
E nel frattempo già le campane suonavano a gran festa annunciando la resurrezione nonostante fossimo ancora un poco in ritardo.
Un’ultima segnalazione: dovevano essere celebrati anche tre battesimi. Per le due bimbe i genitori hanno scelto il nome di due sante ma per il maschietto il nome scelto è stato Brando. Lontanissimo da me il pensiero di esprimere qualsiasi giudizio relativamente ai nomi: mi sono solo chiesta dove avessero tratto ispirazione e l’unico riferimento a cui ho pensato è stato quello di un famoso attore. Dovrò controllare perché ero convinta che Brando fosse il cognome.
Oppure l’intenzione era di farne un feroce combattente.
Probabilmente anche il parroco deve essere rimasto un po’ perplesso perché pur chiamando il bimbo Brando per tutta la celebrazione, al momento di bagnargli la fronte con un filo di voce oltre al fatidico nome ha aggiunto anche un Antonio (che tra parentesi è il nome suo). E non è stato possibile non ricordare Don Camillo al battesimo del figlio di Peppone, a quel Camillo aggiunto dopo Lenin.
I genitori a dire il vero sono rimasti impassibili ma che altro potevano fare lì sull’altare?
Mi resterà sempre il dubbio che sia stato un colpo di mano del parroco, almeno finchè non avrò il coraggio di chiederglielo.

Note finali
Qui l’aria deve essere sicuramente più pulita che da me perché i tronchi degli alberi sono completamente tappezzati di licheni, verdi, grigi, gialli. Le betulle e i platani hanno i tronchi bianco-beige, proprio adatti alla Biston betularia originaria anche quando sono in età avanzata.
C’è poi acqua dovunque: oltre al Sile che sfocia a ovest c’è il Piave che sfocia ad est e nel mezzo un largo canale, il Cavetta a farne il collegamento; a questi si aggiungono una miriade di canaletti e canalini che solcano tutto il territorio e che generalmente vengono tenuti sgombri dalle canne ma si rivestono di tante foglioline verde chiaro,”le pulci d’acqua” e di giacinti acquatici.
Un paradiso per le rane e le zanzare che d’estate più o meno rumorosamente possono interrompere il riposo, un paradiso per i reumatismi che data la mia età cominciano ad affliggere tutte le articolazioni.
Ma tutto sommato perdersi nella nebbia, guardare l’acqua scorrere lentamente, osservare i cerchi che la pioggia disegna allargarsi a formare figure di interferenza sospende il tempo e la frenesia dei giorni normali appare un ricordo lontano.
Domani si ricomincia: bagagli da preparare, borse traboccanti di vestiti da mettere in lavatrice, tutto da risistemare, nervosismo e arrabbiature…ma domani potrebbe anche non arrivare.

Ritorno
Cronico ritardo sui tempi a cui ormai nessuno fa più caso.

La pioggia battente di stanotte deve aver stanato tutti gli aironi dai loro rifugi: alcuni immobili e gonfi non ti guardano nemmeno, incuranti del traffico alle loro spalle, altri più slanciati si alzano a compiere ampi giri quasi planando.
Un arrivederci a tempi con temperature più miti.
Sullo sfondo Venezia coi suoi campanili, facili da riconoscere Burano e Torcello
Una fiumana d’auto che scorre, dimentica delle norme del codice stradale.
E poi il blocco: mezz’ora per percorrere cinque chilometri; casello di Peschiera e decisione avventata: uscita e subito coda.
Due ore per percorrere una ventina di chilometri mentre sullo sfondo l’autostrada sembra ormai sgombra.
Indicazioni stradali approssimative, giri e rigiri e siamo sempre più o meno allo stesso punto: rientro in autostrada e viaggiando a settanta all’ora sembra di volare.
Arrivo e record probabilmente imbattibile: ben cinque ore per percorrere 250 Km

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