venerdì 7 dicembre 2012

Rotazione e Rivoluzione

Insegnare la geografia astronomica agli studenti di prima.



Cercare di semplificare quanto per trent'anni raccontato agli studenti di quinta senza scadere nella ripetizione del programma della media inferiore

Cercare di rende un po' più flessibili le menti

Ottenere questi risultati

Domanda: Se la Terra avesse una velocità di rivoluzione doppia rispetto a quella che effettivamente ha, quanto sarebbe più lungo il giorno solare? 

Risposta: La Terra compie 30 km al secondo. il giorno solare è pari a 365 giorni, 5 ore e 50 minuti. Se la Terra percorresse 60 Km al secondo, il giorno solare sarebbe lungo la metà. Quindi 182 giorni, 17 ore e 25 minuti.  Il giorno solare sarebbe lungo 12 ore


C'è qualcosa in questa logica schiacciante che non riesco a cogliere

Colgo solo che ho sbagliato tutto


sabato 1 dicembre 2012

Stanchezza

Un Liceo che avanza spinto dal suo peso.
Rassegnazione o stanchezza?
Non posso credere sia disinteresse
Eppure nemmeno un comunicato ufficiale, neppure adesioni sufficienti a rendere significativa la dimostrazione
(era stato richiesto di fermarsi nei pomeriggi a scuola per svolgervi tutto il lavoro sommerso fatto a casa)

In altre scuole almeno una lettera aperta è stata scritta
Trascrivo quella prodotta dai colleghi del Quarenghi








"Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce".

Cari genitori

ci rivolgiamo a voi ,perchè siete parte dello stesso progetto,dello stesso percorso. Voi ci affidate con fiducia i vostri ragazzi ,noi li accogliamo e contribuiamo alla loro crescita attraverso il sapere.

Proprio per queste responsabilità che quotidianamente ricordiamo di avere, ma che sono scarsamente riconosciute dall'opinione pubblica,vorremmo farvi meglio conoscere i problemi che investono il mondo della scuola e di conseguenza spiegare il nostro malessere.

La proposta del Ministro Profumo di reperire ancora fondi dalla scuola,con ulteriori tagli, ha indignato tutto il corpo docente,in tutta Italia. Ma ,allo stesso tempo, in tutto il Paese, molti ci hanno accusato di essere dei privilegiati e di non voler far sacrifici . ( si leggano ,come esempio, gli articoli pubblicati su” La Stampa “in data 13 / 11/ 2012).

Sono ormai anni che la scuola è sotto attacco.

Vorremmo ricordare che la scuola ha già pesantemente dato il proprio contributo,con il taglio di circa centoquarantamila posti di lavoro, e ancora più pesanti ce ne saranno,se si tornerà a considerare l'ipotesi di aumentare le ore di lezione frontale. Tutto questo a scapito dei giovani colleghi ,che non potranno mai accedere all'insegnamento,e alla qualità della docenza stessa.

Noi siamo lavoratori che pagano le tasse come tutti ,che stanno soffrendo quanto gli altri lavoratori,che percepiscono uno stipendio che sta perdendo sempre più potere d'acquisto, siamo lavoratori a cui hanno negato gli scatti di anzianità e che hanno un contratto scaduto dal 2009.

Noi siamo lavoratori che hanno diritti e doveri ,ma che sono diritti e doveri particolari in merito alla crescita del Paese e alla formazione dei cittadini di domani e per tale funzione vogliamo essere CONSIDERATI.

Ci piacerebbe che le RIFORME sulla scuola avessero come obiettivo pilastri educativi e pedagogici,non finanziari.

Pertanto,in merito alla proposta dell'aumento delle lezioni frontali di lavoro,abbiamo manifestato il nostro disappunto,per diversi motivi.

E' inutile tediarvi con conti e percentuali,ma sappiate che per noi insegnanti il radicale cambiamento dell'orario è una questione morale.

Per questo siamo indignati, perché riteniamo di essere stati insultati, proponendo le sei ore in più di orario

Aggiungere ad un lavoratore, qualsiasi lavoratore, sei ore in più significa dirgli due cose:

La prima: finora non hai lavorato, finora hai rubato una parte del tuo stipendio.

La seconda: il tuo lavoro conta così poco che se anche aggiungi sei ore non cambia nulla, quello che fai è talmente insignificante che il come lo fai ci è del tutto indifferente.

Non esiste una terza possibilità e tutte e due quelle implicite nella richiesta di fare sei ore in più sono estremamente offensive.



Il contratto degli insegnanti prevede tre momenti di lavoro:

1 Orario di insegnamento: 18 ore settimanali

2 Attività collegiali: 80 ore annuali

3 Funzioni dovute (orario senza vincoli)



Su questa terza voce si esercita l'ipocrisia


Comprende tutto quello che rende realmente possibile il funzionamento della scuola, lo svolgimento delle lezioni, l'imparare da parte degli studenti. Può esistere una scuola in cui i compiti non vengano corretti, in cui le lezioni vengano improvvisate, in cui non ci sia programmazione, in cui non esistano verbali, in cui non si svolgano scrutini, in cui i compiti a casa vengano ignorati, in cui chi insegna non apra libro da trent'anni,in cui gli insegnanti non si aggiornino?

Chiaramente e senza eccezioni no.

Il nostro mestiere ha bisogno di costante aggiornamento,per poter essere all'altezza dei linguaggi richiesti e delle innovazioni, ma i costi sempre molti elevati e, con i nostri stipendi,non sempre possiamo permettercelo. Di questo il Ministro deve tener conto.

Dire che un insegnante lavora 18 ore è come dire che un avvocato lavora solo quando è in tribunale; che un magistrato lavora solo quando tiene pubblicamente un processo, che un docente universitario lavora 120 ore all'anno e cioè solo quando fa lezione, che un giornalista lavora solo quando scrive. Si dimentica, cioè, il lavoro sommerso che c'è dietro quello pubblicamente visibile: ed è dal lavoro sommerso che dipende la qualità del lavoro del magistrato, dell'avvocato, del giornalista, del docente universitario e dell'insegnante.

Le ricerche effettuate dicono che dietro ogni ora insegnata ce n'è almeno un'altra per tutto il resto: non solo cose fondamentali come la preparazione, la valutazione, la progettazione; anche attività banali come fare le fotocopie( che facciamo a casa nostra con le nostre fotocopiatrici e le nostre stampanti)
E' tempo lavoro, funzione dovuta e quindi non discrezionale, non facoltativa. Lavoro in parte svolto a casa, parte a scuola, parte in altri luoghi, non ha nessuna importanza. Aggiungere sei ore in alcuni casi significherà aggiungerne quindi dodici, da 36 a 48, contro ogni legge dello stesso stato che lo impone, contro l' Europa che viene sempre evocata( e con la quale siamo perfettamente in linea,tranne che nelle retribuzioni).

Ci sono insegnanti che lavorano meno?Certamente sì, c'è di tutto. Chi non fa niente non è spaventato, da sei ore in più. Farà niente per sei ore in più. Chi lavora seriamente potrà scegliere se provare comunque a sostenere la qualità del suo lavoro anche contro quanto suggerisce il suo stesso datore di lavoro oppure semplicemente rinunciare. E di questo le famiglie, gli studenti dovrebbero preoccuparsi molto.

Il sacrificio non è chiesto a noi, è chiesto ai cittadini. La scuola in Italia funziona ancora perché la maggior parte degli insegnanti crede nella funzione che svolge. Il Ministro ci sta invitando a non crederci più.

Infine difendiamo con forza la scuola di Stato,che non vuole ingerenze di privati,che non vuole ingerenze della politica, che vuole solo essere all'altezza del ruolo che ha sempre avuto nella storia: educare,istruire,formare cittadini liberi . Non vogliamo scuole con Statuti diversi,con organo collegiali qualitativamente e quantitativamente diversi da scuola a scuola. Non siamo agenzie formative,né televisione,né oratorio,né associazione culturale. Siamo e vogliamo essere solo la SCUOLA.

Vogliamo una scuola europea e di qualità per studenti e insegnanti. Ma le riforme si fanno investendo, non tagliando.

Per quel che ci riguarda,vogliamo investire sui vostri figli,dando loro opportunità,fornendo strumenti indispensabili al loro successo professionale,tali da poter loro garantire”un'esistenza libera e dignitosa”, poichè siamo convinti che la Conoscenza sia l'unico vero strumento contro qualsiasia forma di prepotenza e di sopraffazione.

Speriamo ci capirete e ci sarete vicini.

I docenti del Quarenghi


E il problema viene da molto lontano:



«Gli insegnanti, il cui orario settimanale è andato via via aumentando, sono diventati delle “macchine per vendere fiato”. Ma “la merce fiato” perde in qualità tutto ciò che guadagna in quantità. Chi ha vissuto nella scuola sa che non si può vendere impunemente fiato per 20 ore alla…settimana. La scuola a volerla fare sul serio logora. E se si supera una certa soglia nasce una “complicità dolorosa ma fatale tra insegnanti e studenti a far passare il tempo”. La scuola si trasforma in un ufficio, o in una caserma, col fine di tenere a bada per un certo numero di ore i giovani; perde ogni fine formativo».

Luigi Einaudi, Il Corriere della Sera, 21 aprile 1913.

venerdì 19 ottobre 2012

Sticy




Meglio ricordarlo così

mercoledì 5 settembre 2012

La montagna incantata

Due estati

Quando inizio una lettura, la finisco

Faticosa, a tratti difficile, a tratti anche noiosa

Il finale però ripaga ampiamente 

E tale finale riporto perchè anche solo una persona in più possa accedervi




"Dove siamo? Che è questo? Dove ci ha sbalestrati il sogno? Penombra, pioggia e fango, rossi bagliori d'incendio nel cielo bigio, che rimbomba senza posa di tuoni e boati, empiendo l'aria umida, lacerata da sibilanti ronzii, dall'arrivo di furiosi latrati da cane infernale, che terminano il loro percorso fra schegge, spruzzi, schianti e fiammate, da gemiti e gridi, da squilli d'una tromba che sta per scoppiare, da rulli d'un tamburo che spinge, spinge alla fretta...
Ecco un bosco dal quale si riversano frottè grigie che corrono, cadono, saltano.
Ecco una catena di colli che si allunga davanti al lontano incendio, la cui bragia si condensa ogni tanto in vampe lingueggianti.
Intorno a noi si stendono i campi ondulati, sconvolti, sterrati. Una strada maestra li attraversa fangosa, coperta di rami spezzati, simile al bosco; una viottola di campagna, solcata, senza fondo, porta ad arco fino ai colli, tronchi si ergono nella pioggia, umidi, scamozzati...
Qui c'è un cartello indicatore,... inutile interrogarlo; l'aria quasi buia lo nasconderebbe, anche se un colpo non l'avesse sbrandellato a frastagli.
Oriente o Occidente? E' la pianura, è la guerra.
E noi siamo timide ombre lungo la via, vergognose nell'ombra, al sicuro, senza nessuna voglia di vanterie e spacconate, condotti qua dallo spirito del racconto per cercare tra i grigi camerati che escono a frotte dal bosco, correndo, cadendo, incalzati dal rullo del tamburo, uno che conosciamo, il compagno di viaggio di tanti annetti, il bonario peccatore, del quale tante volte abbiamo udito la voce, e guardarlo ancora una volta nel viso schietto, prima di perderlo di vista.
Li hanno fatti venire, i camerati, per dare l'ultima spinta al combattimento che è già durato l'intera
giornata e ha lo scopo di riconquistare quelle posizioni sui colli e, dietro, i villaggi in fiamme, perduti due giorni sono.
E' un reggimento di volontari, sangue giovane, studenti la maggior parte, da poco tempo al campo.
Ricevuto l'allarme durante la notte, hanno viaggiato in treno fino al mattino e marciato sotto la pioggia fino al pomeriggio per strade cattive,... senza strade, perché le vie erano intasate, e si dovette prendere per campi e acquitrini, sette lunghe ore, con la mantella imbevuta d'acqua, con lo zaino affardellato, e non è stata una passeggiata di diporto; non volendo perdere gli stivali, bisognava chinarsi quasi a ogni passo, infilare il dito nel cignolo e ritirare cosí il piede dal terreno ammollato.
Cosí ci hanno messo un'ora per attraversare un praticello.
Ora sono arrivati, il sangue giovane ha sopportato tutte le fatiche, il corpo eccitato e oramai sfinito, ma teso e sostenuto dalle piú profonde riserve di vita, non reclama il sonno negato, né il cibo.
Il viso bagnato, lordo di fango, incorniciato dal soggolo, arde sotto l'elmo rivestito di grigio, spostato da una parte.
Arde per lo sforzo e per lo spettacolo delle perdite subite nell'attraversare i pantani del bosco.
Il nemico infatti, sapendo della loro avanzata, ha diretto sulla loro strada un fuoco d'interdizione di
shrapnell e granate di grosso calibro che ha già colpito il gruppo scheggiando il bosco e ora frusta ululando e spruzzando e incendiando l'ampia distesa dei campi arati.
Devono passare, i tremila ragazzi febbricitanti, sono di rinforzo, con le loro baionette devono decidere le sorti dell'assalto alle trincee davanti e dietro la linea dei colli e ai villaggi in fiamme, appoggiare l'avanzata fino a un determinato punto, indicato nell'ordine che il loro comandante tiene in tasca.
Sono tremila, affinché rimangano in duemila quando saranno presso i colli e i villaggi; questo è il
significato del loro numero.
Essi sono un corpo predisposto, anche dopo gravi perdite, ad agire e vincere e a poter salutare la vittoria ancora con un urrà di migliaia di voci,... senza tener conto di quelli che si sono appartati cadendo.
Parecchi si sono già separati, sono caduti durante la marcia forzata, per la quale si sono dimostrati troppo giovani e fragili.
Si fecero sempre piú pallidi, barcollanti, vollero fare ancora uno sforzo ostinato, ma finirono col restare indietro.
Si trascinarono ancora un tratto a fianco della colonna in marcia e, sorpassati da una squadra dopo l'altra, scomparvero dove non era bello giacere.
Poi era giunto il bosco straziato.
Ma i giovani che sbucano in ordine sparso sono ancora numerosi; tremila possono reggere a un salasso e ciò nonostante rimangono un'unità formicolante.
Già allagano la nostra zona molle e battuta, la strada, la viottola di campagna, i campi limacciosi; noi ombre vigili, al margine, siamo in mezzo a loro.
Sul limitare del bosco si continua a inastare la baionetta, con maneggio addestrato, la tromba chiama d'urgenza, il tamburo rulla entro il piú profondo rotolio dei tuoni, ed essi avanzano a precipizio, come vien viene, con grida scomposte, coi piedi pesanti come in un sogno tormentoso, perché le zolle del campo si attaccano plumbee ai goffi stivali.
Si buttano a terra all'urlo dei proiettili in arrivo, per poi rialzarsi e correre avanti, con esclamazioni di giovanile coraggio, perché non sono stati colpiti.
Vengono colpiti, cadono agitando le braccia, con uno sparo in fronte, nel cuore, nelle viscere.
Giacciono col viso nel fango, non si muovono piú.
Giacciono, la schiena sollevata dallo zaino, la nuca affondata nel terreno, e adunghiano l'aria.
Ma il bosco ne manda degli altri che si buttano a terra e saltano e, muti o urlanti, procedono incespicando tra i caduti.
Oh, quei giovani con zaino e baionetta, con mantella e stivali insudiciati! Alla maniera beatamente
umanistica potremmo osservarli sognando anche altre visioni.
Potremmo figurarceli nell'atto di guazzare cavalli alla cavezza in una insenatura marina, di passeggiare con l'innamorata lungo la spiaggia, con le labbra all'orecchio della tenera sposa, o anche nel felice e amichevole compito d'insegnarsi a vicenda a tirare con l'arco.
Invece giacciono qui col naso nel fango.
Che lo facciano con gioia, sia pure in angosce infinite e nell'inenarrabile nostalgia della mamma, è un'altra questione, sublime e umiliante, e non dovrebbe essere motivo di portarli a questo sbaraglio.
Ed ecco il nostro conoscente, ecco Hans Castorp! Già da lontano lo abbiamo riconosciuto dalla barbetta che si è lasciato crescere alla tavola dei "russi incolti".
E' tutto bagnato e arde, come tutti.
Corre coi piedi appesantiti dalle zolle, bilanciando il fucile nella mano abbassata.
Ecco, calpesta la mano di un camerata caduto, con lo stivale chiodato preme quella mano dentro al terreno pantanoso, coperto di rami scheggiati.
Ciò nonostante è lui.
Canta persino! Come nell'eccitazione intontita, senza pensiero, si canta a fior di labbra senza saperlo, cosí egli usa il respiro strapazzato per cantare tra sé, a mezza voce: Ich schnitt in seine Rinde so manches liebe Wort...
Cade.
No, si è buttato ventre a terra, perché un cane infernale arriva ululando, una grossa granata dirompente, un ributtante pan di zucchero dell'abisso.
Giace con la faccia nel fango freddo, le gambe divaricate, i piedi distorti, coi tacchi all'ingiú.
Il prodotto d'una scienza abbrutita, carico del peggio, affonda nel terreno a trenta passi di fianco a lui come il diavolo in persona, ed esplode laggiú con orrenda strapotenza, sollevando nell'aria una fontana, alta come una casa, di terriccio, fuoco, ferro, piombo, e brani di carne umana.
Là infatti stavano coricati due amici, si erano buttati giú insieme nel pericolo: ora sono mischiati e
scomparsi.
Oh vergogna della nostra sicurezza nell'ombra! Via, via! Questo non lo vogliamo narrare! E' stato colpito il nostro conoscente? Un istante ha creduto di esserlo.
Una grossa zolla l'ha preso allo stinco, gli ha fatto male, sí, ma è roba da ridere.
Egli si rialza, prosegue barcollando, zoppiconi, coi piedi pesanti di terra, cantando incosciente: Und seine Zweige rauschten, Als riefen sie mir zu...
E cosí nel trambusto, nella pioggia, nel crepuscolo, lo perdiamo di vista.
Addio, Hans Castorp, schietto pupillo deUa vita! La tua storia è terminata.
L'abbiamo narrata sino alla fine; non fu né divertente né noiosa, fu una storia ermetica.
L'abbiamo raccontata per se stessa, non per amor tuo, poiché tu eri semplice.
Ma in fin dei conti era la storia tua; siccome è toccata a te, devi aver avuto una certa accortezza, e noi non neghiamo la simpatia pedagogica che ci prese nel narrarla e potrebbe anche indurci a passare delicatamente un polpastrello sull'angolo d'un occhio al pensiero che non ti vedremo e non ti ascolteremo in avvenire.
Addio,... sia che tu sopravviva o muoia! Le tue probabili sorti sono brutte; la mala danza nella quale sei trascinato durerà ancora qualche anno, e noi non ci sentiamo di scommettere forte che ne uscirai salvo.
Francamente non ci preoccupiamo gran che se la questione rimane aperta.
Avventure della carne e dello spirito che hanno potenziato la tua semplicita, ti hanno permesso di
superare nello spirito ciò che difficilmente potrai sopravvivere nella carne.
Ci sono stati momenti in cui nei sogni che governavi sorse per te, dalla morte e dalla lussuria del corpo, un sogno d'amore.
Chi sa se anche da questa mondiale sagra della morte, anche dalla febbre maligna che incendia
tutt'intorno il cielo piovoso di questa sera, sorgerà un giorno l'amore?"

mercoledì 1 agosto 2012

Incontro


La pedalata lenta sulla pista ciclabile di una strada ancora chiusa al traffico,

Realizzata tra un labirinto di altre strade

Interrotta ad un incrocio che prosegue diritto tra ville simil patronali appena costruite

Lasciata un po’ allo stato brado fino a stamane

Probabilmente c’era il timore che la vegetazione si riprendesse i suoi spazi

Così, di buon mattino, almeno tre operai hanno cominciato a pulire lo spartitraffico per far riemergere i cespugli ornamentali

Anche tutte le erbacce del ciglio rese rigide e taglienti dalla siccità sono state ridotte a moncherini



Pedalo lenta sul far della sera

Appare

Enorme e nera

Attorcigliata su se stessa quasi stesse riposando

Vittima della frenesia di pulizia

Non è una posa naturale

O meglio, sarebbe naturale fosse viva

Penso l’abbiano sistemata così gli operai per un discutibile senso dell’umorismo

Mi avvicino

Il ciclo si sta chiudendo; formiche e vespe la stanno divorando 

Sporge un ossicino ma senza guanti preferisco non toccarla

Il corpo massiccio la rendeva potente

La sua potenza è divorata

Troppo scontato pensare ai potenti del mondo





sabato 14 luglio 2012

Solferino


Parcheggio vicino al cimitero.
La targa ti riporta al 1859, all'assalto degli asserragliati tra le tombe

Le tredici di un tredici luglio assolato
Solo le cicale, cicale assordanti

Cammino e arrivo alla Rocca
Altra targa, targhe ovunque






Anche il monumento alla Croce Rossa, croce, mezzaluna, rombo
Si parla tanto della precarietà dei giovani d'oggi
Chissà quale era il futuro dei giovani, degli adulti, dei bimbi durante le guerre di Indipendenza

Dal colle si osserva la pianura
E' verde adesso la pianura

La salita all'ossario
Un cartello riporta le pene per chi sottrae le ossa
Entro e capisco il cartello


Teschi alternati a ossi sacri quasi a creare una decorazione con pilastri costituiti da femori
Tale orrore può evitare una guerra?
Le guerre sono continuate


I massacri sono continuati
Le morti inutili sono continuate

Il ricamo sul paramento dell'altare







giovedì 12 luglio 2012

Colui che non sa che non sa, io non so che farci

Cerco, pur sapendo che è un'impresa disperata, di mettere ordine un po' qua e un po' là

Sepolto sotto raccolte di francobolli impolverate, pezzi di compassi rotti, fermacapelli, fogli volanti non più identificabili, addirittura un lavoro sulla Repubblica di Platone preparato da Matteo credo una decina di anni fa, sbuca un librettino di Fiabe Africane.

Sono belle





Il Re e il Genio del Lago


C’era tanto tempo fa un re, che si vantava d’essere l’uomo più felice della terra.

Egli aveva vinto tutti i reami confinanti ed annesso molti paesi che pagavano tasse salate.

Tutto il mondo lo temeva, perché poteva contare su un esercito formidabile di terribili guerrieri.

Si credeva il signore dell’universo, il numero uno, perché, oltre a un potere sconfinato, aveva per moglie la donna più bella della terra e un figlio maschio che non era secondo a nessuno per intelligenza.

Ad ogni piè sospinto, egli ripeteva di non conoscere il significato della parola dolore.

Ora avvenne che il figlio un giorno cadde malato, restando immobile, come paralizzato in ogni parte del corpo.

Il re consultò i luminari della medicina, che visitarono il principe senza trovare un rimedio alla sua infermità.

Allora il sovrano convocò tutte le streghe del regno, ma nessun sortilegio ottenne la guarigione del fanciullo.

Tutto il popolo fu mobilitato per pregare il cielo di aiutare il principe: riti religiosi si svolsero nei boschi sacri, furono invocati gli spiriti degli antenati.

Il re decise infine di fare il giro del mondo in compagnia di uomini sapienti, nella speranza di incontrare qualcuno che potesse aiutarlo.

Spese una fortuna in queste ricerche. Perse l’appetito e il sonno: per la prima volta in vita sua seppe cosa vuol dire soffrire. Non rideva più, preferiva la solitudine, si disinteressava di tutto e di tutti.

Quanto alla regina, non usciva più dalle sue stanze e non ascoltava più i concerti quotidiani dei cantori del palazzo, che sempre le avevano procurato gran piacere con le loro meravigliose melodie.

La regina restava ore e ore al capezzale del figlio, raccontandogli storie, con la speranza di procurargli sollievo e farlo sorridere.

Così la vita di corte era divenuta triste e lugubre.

Una sera, a buio, una vecchia si presentò alla porta del palazzo reale, dicendo: “Sono venuta perché so chi può far guarire il principe cadetto”.

Ebbe immediata udienza dal re a cui confidò: “Nelle notti di plenilunio, un uomo che non appartiene né alla terra, né al cielo si tuffa nelle acque del lago che si trova nel parco della reggia”.

Costui è un Genio! Non è un mio suddito e non posso impartirgli ordini” esclamò affranto il re.

La vecchia suggerì: “Nel tuo regno si produce un ottimo miele. Fallo fermentare e diventerà una forte grappa che, versata nell’acqua del lago, lo trasformerà in un inebriante idromele. Il Genio lo inalerà dal naso e si addormenterà. Al suo risveglio i soldati lo inviteranno a venire a corte, per offrire i suoi consigli.”

Detto fatto, il re ordinò a tre suoi soldati fidati di preparare un nascondiglio sulla riva del lago e di mettersi di posta.

La notte di plenilunio, il Genio si tuffò e scoprì nell’acqua un sapore dolce che non aveva mai sentito. Chiuse gli occhi e sorbì questa bevanda squisita, finchè non si addormentò profondamente.

Alle prime luce del mattino il Genio si sveglio, trovandosi circondato da tre grandi guerrieri.

“Niente paura” lo rassicurarono gli uomini armati “Il nostro re ha bisogno di te: il suo unico figlio si è ammalato e solo la tua sapienza può indicare la via giusta per salvarlo.”

Il Genio scoppiò a ridere, tuttavia seguì quei guerrieri senza far motto.

Cammin facendo, incontrarono un uomo appoggiato al tronco di un albero, che prediceva la fortuna a chi gli dava una moneta d’elemosina.

A quella vista il Genio proruppe in una grande risata.

Arrivati che furono al Palazzo, il Genio fu ricevuto dal re nella camera dove giaceva il figlio ammalato.

Anche stavolta il Genio non potè trattenere una fragorosa risata, ma poi, assunta un’aria seria, dichiarò al sovrano: “Sono pronto a guarire il ragazzo, a patto che il primo ministro, la Regina e tu stesso, abbiate il coraggio di confessare una verità nascosta nel vostro cuore, che in pubblico non potrebbe mai essere detta.” Il re fece venire il primo ministro il quale, informato di quel che doveva fare, dopo un attimo di esitazione, rese noto un suo recondito pensiero: “Maestà, sotto sotto ho desiderato che vostro figlio restasse infermo per sempre, al fine di mantenere il potere che ho oggi e di succedervi un domani.”

“Ah, è proprio vero che il sogni di tutti i secondi è quello di diventare primi!” sospirò il Genio. “Per questo sono pronti a tutto”.

Era la volta della Regina.

La Regine si volse verso il marito e gli disse: “Tu mi regali collane e pietre preziose, certamente cerchi di compiacermi, ma le tue poche forze non bastano a rendermi felice. La verità è che io non sono innamorata di te.”

“Una confessione così dolorosa e profonda, non me l’aspettavo” pensò il genio turbato.

Ma ciò che dichiarò il re fu ancora più devastante: “Genio, io avevo un fratello maggiore che non sapeva nuotare. Un giorno l’ho affogato nel lago e ho fatto accusare degli innocenti. In tal modo restai l’unico erede del regno di mio padre”.

Il Genio riflettè che questa ammissione di colpa non poteva certo essere resa nota davanti a nessuno.

“Ora che avete liberato il vostro cuore da codesti pesanti fardelli, io posso guarire il principino!” annunciò il Genio.

E subito ordinò di tirare il collo ad una gallina nera che zampettava proprio nella camera del ragazzo ammalato e di fargliela mangiare.

Appena l’ordine del Genio fu soddisfatto, il piccolo infermo riprese l’uso delle mani e dei piedi.

Fu allora organizzata una grande festa e il Genio fu pubblicamente ringraziato e onorato.

Mentre lo riaccompagnavano fuori dal palazzo, i soldati della scorta chiesero al Genio il motivo di quelle tre risate, a cui lui si era lasciato andare.

Ed egli rispose così: “Quando sono uscito dal lago, mi sono divertito a pensare che gli uomini ritengono che ci siano alcuni, come i Geni, che sanno tutto. Invece, io non mi sono nemmeno accorto della grappa che mi ha inebetito: altrimenti avrei rinunciato a quel bagno. Dopodichè, lungo la strada, ho trovato l’uomo che prediceva ai passanti il modo di arricchirsi e non sapeva che proprio sotto i suoi piedi c’è nascosto uno scrigno pieno di monete d’oro. Risi perciò al pensiero che c’è chi parla di cose di cui non sa nulla. Infine, appena entrato nella camera del principe, ho visto la gallina nera rimpiattarsi sotto il letto.

Il vostro re ha speso una fortuna per salvare il figlio, mentre il rimedio l’aveva proprio a portata di mano. Ho riso dunque della gente che cerca lontano la felicità, senza rendersi conto che ce l’ha in casa”:

Intanto erano arrivati sulla riva del lago. Il genio si tuffò e prima di scomparire alla vista, intonò questa canzone:


Colui che sa qualcosa, deve farla conoscere

Colui che sa di non sapere, avrà l’occasione di sapere.

Colui che non sa di sapere, deve essere incoraggiato, perché non ha fiducia in se stesso.

Colui che non sa che non sa, io non so che farci ……

 

sabato 30 giugno 2012

Orali

A ritmo serrato
Cinque alunni ogni mattina
Il caldo afoso di un'aula al secondo piano
Tentativi di corrente d'aria tra finestre aperte, dalle quali implacabile entra il sole, e un ventilatore messo per garantire la sopravvivenza di studenti e insegnanti
Bottigliette d'acqua che arrivano piene di condensa e che nel giro di un'ora hanno raggiunto l'equilibrio termico con l'aria circostante
Porta che si chiude
Presentazione del Candidato
Porta che si apre
A volte solo, a volte con alcuni compagni, a volte la mamma, il papà, la zia..
Macchie di sudore che si allargano a dismisura dallle ascelle all'intera schiena
Esce il Candidato
La porta si richiude
Discussione
Presentazione del successivo
All'approssimarsi del mezzodì i volti dei Commissari sono ormai disfatti e ancora mancano almeno due ore e mezza di lavoro
La volontà di attenzione è aggredita dal sonno, dal caldo, a volte anche dalla noia che assale al quindicesimo riferimento a Nietzsche  o a Freud
Ogni anno penso che il vero malato fosse lui, ogni anno lo dimentico completamente, ogni anno sono da capo

Entra minuta, vestita di nero, i capelli raccolti
Appoggia il contenitore a terra. E' quasi più grande di lei
Presenta il lavoro di ricerca su Wagner, risponde ai quesiti che le vengono posti
Solo le mani tremano un poco, lo sguardo dolce ma sicuro
L'esame è finito
Si alza, chiede il permesso, apre il contenitore e ne estrae il piccolo violino
Il coperchio è tappezzato di fotografie, gli archetti in ordine
Si toglie l'orologio, prova le note, un respiro profondo e comicia
Prima un suono più grave, poi via via le note salgono
Scompare il caldo, scompare l'aula
Cambio di inclinazione dell'archetto, dita che si muovono rapide da una corda all'altra
E ti sembra di salire assieme alle note
Ma perchè ho pensato altre volte non mi piacesse il violino?




martedì 26 giugno 2012

Terza prova

Mi irrita sentirla chiamare "il quizzone"
La nostra scuola da sempre propone la tipologia A
Da sempre nelle simulazioni o nelle prove d'esame vere e proprie propongo temi che ai quiz non assomigliano per nulla
Da sempre il parto della traccia è lungo e laborioso
Così anche quest'anno

Nel dubbio che la formulazione sia troppo oscura sottopongo l'idea al mio consulente
Da Trieste mi risponde "Mi rifiuto di collaborare alla stesura di una traccia sovversiva, a sostegno del tuo chiodo fisso"
"Sovversiva????"
Mi rivolgo allora a mio marito
"Ma perchè devi sempre fare l'esagerata? Metti la faccenda in positivo anzichè sottolineare le criticità" 

Comincia allora il lavoro di revisione del tutto
Manca l'introduzione
Trovo un documento dell'Unione Scienziati per il Disarmo ma non è sufficientemente moderato

Devo anche pensare alla proposta B
Non verrà estratta e quindi la terrò buona per un'altra occasione

La prova viene somministrata
Il quesito lascia tranquilli gli studenti
Correggo e mi rendo conto che probabilmente durante l'anno avevo fornito sufficienti elementi per poter svolgere adeguatamente, o quasi, il compito proposto.
Bene




Quesito A
“Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura
T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,…”
Uomo del mio tempo di Salvatore Quasimodo

Il candidato illustri, con esempi tratti dal programma svolto quest'anno sia in ambito astronomico sia in ambito geologico, come risultati scientifici o tecnologici nati in ambiente o per interessi militari  si siano rivelati preziosi per la comprensione di fenomeni naturali o per le applicazioni civili



mercoledì 20 giugno 2012

Prova di italiano

Primo turno di assistenza
Nella stanza dei bottoni si aspetta il comunicato del Ministro
Arriva sul video la seconda parte del codice
Troppo lenti per copiare tutta la sfilza
Ricerca spasmodica di un'emittente meno frettolosa
Il plico arriva, con tempismo
Fa dimenticare il lunedì di insediamento 

Leggo le tracce
Penso quale dei temi proposti avrei svolto
Mi illudo che i miei studenti siano pronti a commentare "Le responsabilità della scienza e della tecnologia" dopo tutte le tiritere somministrate in ben cinque anni.
Verrò abbinata all'arida correzione della prova di matematica
Precluso leggere quanto hanno scritto se non in scorci di tempo ritagliati qua e là.

Mi perdo a cercar di decifrare i quadri proposti per il tema sul labirinto. 
Le fotocopie in bianco e nero non sono particolarmente nitide
Già so che Picasso non mi piacerà per nulla 













 

I più colorato Pollock



Visto tante volte Relatività di Escher



Dei documenti apprezzo: 

«Ora, le leggi devono essere giuste sia in rapporto al fine, essendo ordinate al bene comune, sia in rapporto all’autore, non eccedendo il potere di chi le emana, sia in rapporto al loro tenore, imponendo ai sudditi dei pesi in ordine al bene comune secondo una proporzione di uguaglianza. Essendo infatti l’uomo parte della società, tutto ciò che ciascuno possiede appartiene alla società: così come una parte in quanto tale appartiene al tutto. Per cui anche la natura sacrifica la parte per salvare il tutto. E così le leggi che ripartiscono gli oneri proporzionalmente sono giuste, obbligano in coscienza e sono leggi legittime.»
S. TOMMASO D’AQUINO (1225-1274), La somma teologica

e ancor di più:

Che tu sia o non sia un credente, che tu sia o no un “patriota”, se ti è concessa una scelta non lasciarti sedurre dall’interesse materiale e intellettuale, ma scegli entro il campo che può rendere meno doloroso e meno pericoloso l’itinerario dei tuoi compagni e dei tuoi posteri. Non nasconderti dietro l’ipocrisia della scienza neutrale: sei abbastanza dotto da saper valutare se dall’uovo che stai covando sguscerà una colomba o un cobra o una chimera o magari nulla.» 
Primo LEVI, Covare il cobra, 11 settembre 1986, in Opere II


A combattere lo Scipione bottigliette di acqua elargite dalla scuola, dietro indicazione ministeriale

Minuti che si rincorrono lenti
Lettura di tesine più o meno interessanti
Domani la prova di matematica

venerdì 15 giugno 2012

Giardini Montanelli

Un tardo pomeriggio di giugno.
Entro da Corso Venezia.
Il Museo di Storia Naturale è ancora aperto, ancora per venti minuti.
Salgo lo scalone, giro per le sale.
Il paragone con quello di Bergamo è impietoso.
Esco.
Persone sedute sulle panchine, persone che corrono e a me sembra un po' ridicolo si fermino a tratti, controllino gli strani bracciali, si flettano, ripartano.
Bambini che affollano le giostrine, che corrono, che giocano
Coppie abbracciate incuranti del mondo
Qualcuno legge, tanti chiacchierano tra loro.
Mi avvicino ai monumenti che incontro, ne leggo le targhe


Cartelli scrostati indicano le specie arboree più significative
Alte rocce assemblate a ricreare paesaggi costeggiano i viali

Scuro e silenzioso, un laghetto ospita numerosi pesci grigi, ne esce un ruscello, piuttosto putrido e stagnante, che poi si perde



Mi sembra un giardino triste, tanto triste

Tesine 2

La solitudine vi spaventa.
E che fate allora? 
V’immaginate tante teste. 
Tutte come la vostra. 
Tante teste che sono anzi la vostra stessa. 
Le quali a un dato cenno, tirate da voi come per un filo invisibile, vi dicono di sì e di no, e no e si; come volete voi. 
E questo vi conforta e vi fa sicuri. 
Andate là che è un giuoco magnifico, codesto della vostra coscienza che vi basta.
E allora? 
Sapete invece su che poggia tutto? 
Ve lo dico io. 
Su una presunzione che Dio vi conservi sempre. 
La presunzione che la realtà, qual’ è per voi, debba essere e sia ugualmente per tutti gli altri. 
Ci vivete dentro; ci camminate fuori, sicuri. la vedete, la toccate; e dentro anche, se vi piace, ci fumate una sigaro(la pipa?la pipa) e beatamente state a guardare le spire di fumo a poco a poco vanire nell’aria. 
Senza il minimo sospetto che tutta la realtà che vi sta attorno non ha per gli altri maggiore consistenza di quel fumo..siete sicuri che se esistesse un senso alla nostra reale esistenza dovrebbe ricadere fuori da quel fumo?


Pirandello

Tesine

Sempre leggere il lavoro personale degli studenti mi permette di trovare perle


venerdì 1 giugno 2012

Pensiero



Scritto sulla sabbia

Che il bello e l'incantevole
Siano solo un soffio e un brivido,
che il magnifico entusiasmante
amabile non duri:
nube, fiore, bolla di sapone,
fuoco d'artificio e riso di bambino,
sguardo di donna nel vetro di uno specchio,
e tante altre fantastiche cose,
che esse appena scoperte svaniscano,
solo il tempo di un momento
solo un aroma, un respiro di vento,
ahimè lo sappiamo con tristezza.
E ciò che dura e resta fisso
non ci è così intimamente caro:
pietra preziosa con gelido fuoco,
barra d'oro di pesante splendore;
le stelle stesse, innumerabili,
se ne stanno lontane e straniere, non somigliano a noi
- effimeri-, non raggiungono il fondo dell'anima.
No, il bello più profondo e degno dell'amore
pare incline a corrompersi,
è sempre vicino a morire,
e la cosa più bella, le note musicali,
che nel nascere già fuggono e trascorrono,
sono solo soffi, correnti, fughe
circondate d'aliti sommessi di tristezza
perché nemmeno quanto dura un battito del cuore
si lasciano costringere, tenere;
nota dopo nota, appena battuta
già svanisce e se ne va.

Così il nostro cuore è consacrato

con fraterna fedeltà
a tutto ciò che fugge
e scorre,
alla vita,
non a ciò che è saldo e capace di durare.
Presto ci stanca ciò che permane,
rocce di un mondo di stelle e gioielli,
noi anime-bolle-di-vento-e-sapone
sospinte in eterno mutare.
Spose di un tempo, senza durata,
per cui la rugiada su un petalo di rosa,
per cui un battito d'ali d'uccello
il morire di un gioco di nuvole,
scintillio di neve, arcobaleno,
farfalla, già volati via,
per cui lo squillare di una risata,
che nel passare ci sfiora appena,
può voler dire festa o portare dolore.
Amiamo ciò che ci somiglia,
e comprendiamo
ciò che il vento ha scritto
sulla sabbia.

H. Hesse