martedì 12 aprile 2011

Da Gagarin alle stelle

La_conquista_dello_Spazio

Viaggio nel sistema solare.

Sabato 9 aprile 2011, ore 11 è stata inaugurata la mostra dedicata a Gagarin presso le sale del Museo Caffi

Cinquanta anni fa, il 12 aprile 1961, Yuri Gagarin a bordo della navicella Vostok fu il primo uomo a varcare la soglia dello spazio, a sollevarsi da Terra, a salire oltre il cielo, fino al vuoto cosmico.

Per l'umanità fu un evento epocale, si apriva la cosiddetta "Era Spaziale". Il volo di Gagarin durò soltanto 89 minuti, il cosmonauta sovietico percorse un'orbita attorno alla Terra e poi tornò sul nostro pianeta: a settemila metri di altezza venne proiettato al di fuori della navicella grazie alla poltroncina eiettabile e atterrò appeso a un paracadute. Le imprese spaziali sovietiche furono in buona parte dovute al genio di Sergej Pavlovich Korolev, "costruttore capo" che morì l'11 gennaio 1966. La sua morte decise le sorti della "gara spaziale" verso la Luna a favore degli americani che giunsero sul nostro satellite il 20 luglio 1969. In questa mostra ricordiamo il viaggio di Gagarin come avvio di un periodo di esplorazione dello spazio che ha portato, soprattutto mediante sonde automatiche, a scoprire i mondi del Sistema Solare e non soltanto.


Per contrasto dalle Metamorfosi di Ovidio:

E subito dedica il suo ingegno a un campo ancora inesplorato, sovvertendo la natura. Dispone delle penne in fila, partendo dalle più piccole via via seguite dalle più grandi, in modo che sembrano sorte su un pendio: così per gradi si allarga una rustica zampogna fatta di canne diseguali. Poi al centro le fissa con fili di lino, alla base con cera, e dopo averle saldate insieme, le curva leggermente per imitare ali vere. Icaro, il suo figliolo, gli stava accanto e, non sapendo di scherzare col proprio destino, raggiante in volto, acchiappava le piume che un soffio di vento sollevava, o ammorbidiva col pollice la cera color dell'oro, e così trastullandosi disturbava il lavoro prodigioso del padre. Quando all'opera fu data l'ultima mano, l'artefice provò lui stesso a librarsi con due di queste ali e battendole rimase sospeso in aria. Le diede allora anche al figlio, dicendogli: "Vola a mezza altezza, mi raccomando, in modo che abbassandoti troppo l'umidità non appesantisca le penne o troppo in alto non le bruci il sole. Vola tra l'una e l'altro e, ti avverto, non distrarti a guardare Boòte o Èlice e neppure la spada sguainata di Orìone: vienimi dietro, ti farò da guida". E mentre l'istruiva al volo, alle braccia gli applicava quelle ali mai viste. Ma tra lavoro e ammonimenti, al vecchio genitore si bagnarono le guance, tremarono le mani. Baciò il figlio (e furono gli ultimi baci), poi con un battito d'ali si levò in volo e, tremando per chi lo seguiva, come un uccello che per la prima volta porta in alto fuori del nido i suoi piccoli, l'esorta a imitarlo, l'addestra a quell'arte rischiosa, spiegando le sue ali e volgendosi a guardare quelle del figlio. E chi li scorge, un pescatore che dondola la sua canna, un pastore o un contadino, appoggiato l'uno al suo bastone e l'altro all'aratro, resta sbalordito ritenendoli dèi in grado di solcare il cielo. E già s'erano lasciati a sinistra le isole di Samo, sacra a Giunone, Delo e Paro, e a destra avevano Lebinto e Calimne, ricca di miele, quando il ragazzo cominciò a gustare l'azzardo del volo, si staccò dalla sua guida e, affascinato dal cielo, si diresse verso l'alto. La vicinanza cocente del sole ammorbidì la cera odorosa, che saldava le penne, e infine la sciolse: lui agitò le braccia spoglie, ma privo d'ali com'era, non fece più presa sull'aria e, mentre a gran voce invocava il padre, la sua bocca fu inghiottita dalle acque azzurre, che da lui presero il nome. Ormai non più tale, il padre sconvolto: "Icaro!" gridava, "Icaro, dove sei?" gridava, "dove sei finito? Icaro, Icaro!" gridava, quando scorse le penne sui flutti, e allora maledisse l'arte sua; poi ricompose il corpo in un sepolcro e quella terra prese il nome dal sepolto.


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