domenica 31 agosto 2008

I Sospesi

27 agosto: rientro a scuola per l’ultima fase dell’anno scolastico precedente.
La novità infatti è stata l’abolizione dei debiti, sostituiti con la sospensione dei giudizi per gli alunni insufficienti in un numero troppo esiguo di materie, per poterne decretare la non promozione a giugno.
Così gli studenti hanno modificato la loro situazione: da insolventi cronici (il numero dei debiti recuperati effettivamente è sempre stato piuttosto basso) sono passati ad una specie di limbo angosciante.
Cosa faranno mai gli insegnanti? Oseranno non promuovere con sole due-tre insufficienze? (dimenticando magari che se ora le materie su cui devono rispondere sono due o tre soltanto è perché a giugno molte situazioni incerte sono state sanate) Sarà solo una formalità oppure le prove saranno serie?
Alcuni li vedi concentrati a scrivere, alcuni sudare copiosamente tormentando le penne, altri cercare suggerimenti con sguardi sconfortati
Poco tranquilli agli orali, capaci di perdersi in un bicchier d’acqua, convinti che tu sia lì proprio e solo per torturarli.
Ma non è che agli insegnanti sia toccata sorte migliore.
Dovendo concludere tutte le attività entro l’inizio dell’anno scolastico successivo, in queste quattro giornate il ritmo è stato piuttosto sostenuto.
Cito ad esempio la giornata di venerdì, per altro simile a tutte le altre.
Ore 8: scrutini classe prima D. Ore 9: inizio prova scritta classe terza.

Le prove scritte potranno essere ritirate per la correzione alle ore 11.

Però le ritiro alle ore 13 perché nell’ intervallo a disposizione ho voluto mangiare. Ore 13: orali classe 1 L, che dovrebbero durare due ore complessivamente. Interrogare otto persone, alcune in più materie, in due ore risulta impossibile, quindi si sfora di un’ora.

Ma alle ore 16 cominciano gli orali per la classe seconda.

Inizio orali: di nuovo errore di valutazione nei tempi perché alle 17 c’è lo scrutinio della classe 1L e le interrogazioni non sono ancora finite.

Con un ritardo di venti minuti, mi allontano dalla commissione delle interrogazioni mentre le colleghe procedono con le loro materie e inizio lo scrutinio.

Finito lo scrutinio ritorno agli orali e verso le 18 - 18,30 (neanche più la forza di guardare l’orologio) finiscono.

Rientro a casa con le verifiche scritte di terza da correggere con estrema urgenza perché il mattino successivo alle 8 c’è lo scrutinio della classe seconda e alle nove cominceranno gli orali di terza.
Il giorno tre settembre sarà esposto il bilancio di questa anomala chiusura dell’estate.
Ci sarà una sicura nota positiva: è finita.




sabato 30 agosto 2008

Ultimo

Basta con i reportage, nonostante ci siano ancora tante segnalazioni degne di nota.

Chiudo con le tre tappe più insolite inserite in programma.

Visita al museo des égouts di Parigi: il museo sotterraneo dedicato alle fogne della città.

Dal profumo dei fiori all'odore caratteristico delle fogne, tra gli infiniti brontolamenti delle figlie femmine piuttosto contrariate dall'itinerario.










In realtà la visita è interessante, sia sotto il profilo storico, perchè numerosi pannelli ricostruiscono lo sviluppo della rete fognaria nei secoli, sia dal punto di vista letterario, in quanto Victor Hugo per scrivere alcuni passaggi dei suoi Miserabili qui si era recato per documentarsi, ed, infine, pure dal punto di vista tecnico: le grandi sfere utilizzate per la pulizia delle condotte, le draghe che contribuiscono a tener puliti tutti i canali, la descrizione dei trattamenti delle acque e i meccanismi messi in atto per preservare la città dalle inondazioni a mio avviso non sono meno importanti della visione di un'opera esposta al Pompidou (i miei commenti su certe "opere d'arte" hanno infatti suscitato tutto lo sdegno della figlia maggiore).












Le guide con il guanto a forma di ratto ottengono come risultato l'acquisto compensatorio di un topolino di peluche quale ricordo della giornata.


Altra tappa tecnica, ancor più insolita e sicuramente non inserita nei normali viaggi a Parigi, è l'ospedale Pompidou (nome un poco inflazionato).

Non che qualcuno della minicomitiva stesse così male da dover ricorrere a cure mediche, ma essendo tale struttura ospedaliera costruita su progetto della società che sta realizzando i nuovi Ospedali Riuniti di Bergamo, non potevamo saltare la visita. (consorte che lavora nell'ufficio nuovo ospedale)



Così percorriamo l'interno e l'esterno, osserviamo con quali meccanismi vengono pulite le enormi vetrate, la qualità del materiale utilizzato per confrontarlo con quanto usato a Bergamo, il procedere del degrado della struttura a otto anni dalla sua messa in opera.
Ad un certo punto mi siedo nella grande hall, pare quella di un centro commerciale, dove zampettano felici i piccioni e lascio ad altri l'indagine nei reparti, non solo per delicatezza nei confronti dei malati ma soprattutto perchè, essendo sulla via del ritorno da Versailles, non ce la faccio proprio più a camminare.
C'è un unico particolare che distingue questo luminoso corridoio da quello dei centri commerciali (chiaramente visitati pure essi): non passano in continuazione le ronde armate di soldati giovinetti con i mitra tra le braccia ad arrestare eventuali malfattori (e io mi ero stupita dei soldati armati in giro per Gerusalemme...).

Infine da visitare, perchè super tecnologico, l'"Historial Charles de Gaulle", che sorge sotto la Cours de la Valeur dell'Hôtel national des Invalides-Musée de l'Armée, quasi appena inaugurato da Nicolas Sarkozy.
Che i francesi sentano più di noi il senso della patria lo si poteva già cogliere osservando le dimensioni della bandiera francese posta sotto l'arco di trionfo ma l'esaltazione di De Gaulle ha dell'incredibile.
Vederlo in miniatura ologrammica parlare dell'Algeria è comunque uno spettacolo.



Rimando ad altra occasione tutta la discussione suscitata dalla figura di Robespierre e dall'intera parentesi rivoluzionaria.


venerdì 29 agosto 2008

Gli Insoliti III

Troppo poca la strada percorsa per rinunciare ai quattro-cinque chilometri della Promenade Plantée.
Così, pieni di buona volontà, affrontando nel viaggio di avvicinamento anche il tratto sostitutivo della linea cinque della metropolitana, interrotta per lavori in corso, su un autobus assiepato, arriviamo a Dugommier, con l'intenzione di percorrere la strada verso la Bastille.

La scelta della direzione è affidata al sesto senso e partendo dalla volta di una galleria iniziamo il tragitto in una zona semiselvaggia.


Infatti c'è anche una tigre, di peluche, che ci osserva dal corrimano di una scala.
Sembra che l'originario percorso della ferrovia sia stato abbandonato all'invasione della flora spontanea; sembra solo, perchè la pista ciclabile e il camminamento sono ben sgombri, e ciò non succederebbe in un bosco vero.








Dopo circa un chilometro troviamo una cartina appesa e con sommo acume capiamo d'aver preso la direzione sbagliata (per fortuna, perchè così abbiamo potuto osservare il pezzo più bello della Passeggiata).

"Dietro front" e via: ritorniamo alla galleria.


Da qui, la Promenade diventa un corridoio giardino, con vasche, archi fioriti, strettoie e slarghi bordati di aiuole, che si intrufola tra case che sembrano nettamente recise per lasciare il varco (tante case a Parigi sembrano tagliate come da un'enorme motosega).











Arriviamo alla Bastiglia, o meglio alla piazza che la ricorda con una colonna centrale.
Partono tante strade, ognuna ci fornisce uno spaccato diverso della città.




Da un lato ti imbatti in una variopinta popolazione cosmopolita, in tipi vestiti come i protagonisti di Matrix, in prostitute e locali oscuri, in persone che si contorcono in terra, grattandosi sotto gli occhi indifferenti degli altri, in valige sventrate con indumenti sparpagliati perla ricerca di qualcosa da rivendere.

Dall'altro lato comincia il quartiere dei ricchi: si vede dalla merce sposta nelle vetrine, dai costi, dall'ordine.
Nemmeno a Gerusalemme, salvo nella zona del Muro del Pianto, avevo incontrato per strada ortodossi così ligi da portarsi i Tefillin sulla fronte e legati al braccio.

Ispirati da Paperone, Qui, Quo e Qua di un fumetto trasposizione dei Miserabili, ce ne andiamo a cercare piazze quadrate (Piazza Vosges), triangolari (Piazza Dauphine), statue di Enrico IV e tesori immaginari.

giovedì 28 agosto 2008

Gli Insoliti II

Comincia a diventare un'abitudine: tra le nostre mete non poteva mancare la visita al cimitero più famoso di Parigi, il Pére Lachaise, per rispettare la promessa fatta da Francesco al suo professore di storia e di filosofia.
Infatti la meta principale è la tomba di Fernand Braudel, illustre storico.

Tomba sostanzialmente abbandonata come le migliaia d'altre che ci scorrono davanti: muschio a rivestire pietre corrose dal tempo, tra i sarcofagi qualche cappella in miniatura con la porta divelta e completamente vuota.



Rarissimi i fiori, sassolini sulle tombe degli ebrei, croci ottenute con legnetti raccolti dagli alberi, là dove non compaiono simboli religiosi, perchè qualcuno passa appositamente a farlo.




Chilometri di viali che si intrecciano a formare un labirinto proteso verso la sommità della collina.

Una rosa ancora fresca sulla tomba di Abelardo ed Eloisa, molto più pittoresca e variopinta quella di Oscar Wilde.




Il tempo stringe e sparpagliate qua e là le tombe di Proust, Morrison, Balzac, Gay-Lussac, Rossini, Apollinaire, Bellini, Moliére aspetteranno invano.





O meglio, non aspettano per nulla, del tutto indifferenti al passaggio dei rari visitatori.

Il ricordo è altrove: è nei libri, negli spartiti e soprattutto nella nostra mente.

E' possibile la visita virtuale cliccando

mercoledì 27 agosto 2008

Gli insoliti I

Il resoconto della Parigi che tutti conoscono è abbastanza noioso, soprattutto per chi legge.
Trovare degli aspetti insoliti è però abbastanza facile.
Visita a Versailles, obbligatoria, come tante altre tappe, tutte regolarmente effettuate, quasi il viaggio fosse un allenamento per il pellegrinaggio a Santiago de Compostela.
L'aspetto più degno di nota è la grande tenuta che si estende dietro al castello.
E' stato impossibile vederla tutta, ma è sicuramente meglio dell'interno della reggia.
Osservazioni personali: Maria Antonietta non era troppo sana di mente.

Farsi costruire un intero villaggio, la fattoria in miniatura, farsi costruire un teatro personale, farsi costruire una grotta, forse per meditare mah, non mi sembra molto normale.
Ma immediatamente a sua difesa vengono citati i diversi film o cartoni animati: poverina, le hanno tolto tutto quanto di austriaco aveva appena arrivata, compreso il cagnolino. Ah, allora è tutto chiaro...
Gli animali nella fattoria ci sono ancora: il pavone è però così pigro che se ne sta accovacciato nonostante tutti i sassolini lanciatigli contro.
La coda la vedremo un'altra volta.
In compenso vengono verso noi in processione strane oche magrettine, tutte con andatura dondolante.
Forse sperano in qualche boccone di cibo.
Ma i cartelli della protezione animale parlano chiaro: per la salute degli animali, non date loro nulla.
Scritti in francese, molti turisti forse non capiscono, perchè poco distante, piccoli pezzi di pane vengono gettati ai pesci gatto che accorrono, gettandosi proprio uno sull'altro alla ricerca del boccone.






Spettacolo poco edificante, ma potrebber far riflettere.



Maestosi gli alberi secolari, più strani quelli che bordano i viali, potati come fossero siepi, giardini alla francese che sembrano un'accozzaglia di fiori ma che nel complesso hanno anche una loro armonia.













Consiglio per i visitatori futuri: anzichè perdere il tempo in processione a visitare stanze del castello che non hanno nulla di speciale, salvo pochi angoli, spinti qua e là da tutti i turisti accalcati, dedicate più tempo al parco esterno.

Rientro

Rientro in tutti i sensi: rientro dalle vacanze, rientro in Italia, rientro a scuola.


Cronache sospese in attesa di cinque minuti di respiro

domenica 24 agosto 2008

S. Messa

Tra tutte le possibilità offerte perchè mettiamo in programma la Messa in gregoriano?



Però trasmette calma.

Dal sacro al profano





sabato 23 agosto 2008

Teletrasporto



Vi mancavano, vero, i miei omini?

venerdì 22 agosto 2008

Visita Virtuale

Esserci è altro

giovedì 21 agosto 2008

Parigi

À une heure du matin
ENFIN! seul! On n'entend plus que le roulement de quelques fiacres attardés et éreintés. Pendant quelques heures, nous posséderons le silence, sinon le repos. Enin! la tyrannie de la face humaine a disparu, et je ne souffrirai plus que par moi-même.
Enfin! il m'est donc permis de me délasser dans un bain de ténèbres! D'abord, un double tour à la serrure. Il me semble que ce tour de clef augmentera ma solitude et fortifiera les barricades qui me séparent actuellement du monde.
Horrible vie! Horrible ville! Récapitulons la journée: avoid vu plusieurs hommes de lettres, dont l'un m'a demandé si l'on pouvait aller en Russie par voie de terre (il prenait sans doute la Russie pour une île); avoir disputé généreusement contre le directeur d'une revue, qui à chaque objection répondait: « C'est ici le parti des honnêtes gens», ce qui implique que tous les autres journaux sont rédigés par des coquins; avoir salué une vingtaine de personnes, dont quinze me sont inconnues; avoir distribué des poignées de main dans la même proportion, et cela sans avoir pris la précaution d'acheter des gants; être monté pour tuer le temps, pendant une averse, chez une sauteuse qui m'a prié de lui dessiner un costume de VÉNUSTRE; avoir fait ma cour à un directeur de théatre, qui m'a dit en me congédiant: « Vous feriez peut-être bien de vous adresser à Z...; c'est le plus lourd, le plus sot et le plus célèbre de tous mes auteurs; avec lui vous pourriez peut-être aboutir à quelque chose. Voyez-le, et puis nous verrons»; m'être vanté (pourquoi?) de plusieurs vilaines actions que je n'ai jamais commises, et avoid lâchement nié quelques autres méfaits que j'ai accomplis avec joie, délit de fanfaronnade, crime de respect humain; avoir refusé à un ami un service facile, et donné une recommandation écrite à un parfait drôle; ouf! est-ce bien fini?
Mécontent de tous et mécontent de moi, je voudrais bien me racheter et m'enorgueillir un peu dans le silence et la solitude de la nuit. mes de ceux que j'ai aimés, âmes de ceux que j'ai chantés, fortifiez-moi, soutenez-moi, éloignez de moi le mensonge et les vapeurs corruptrices du monde; et vous, Seigneur mon Dieu! accordez-moi la grâce de produire quelques beaux vers qui me prouvent à moi-même que je ne suis pas le dernier des hommes, que je ne suis pas inférieur à ceux que je méprise!

Charles Baudelaire

mercoledì 20 agosto 2008

Sculture di sabbia

Ogni anno a Jesolo viene organizzata la manifestazione "sculture di sabbia" sulla spiaggia: quest'anno è stata dedicata alla Cina





















martedì 19 agosto 2008

Meduse



"Bimbo stupito per la medusa sulla riva

Con la paletta colpi vibrati a sbrandellarne il fantasma

Si allontana pago dell'impresa"



Con l'aumento della temperatura dell'acqua arrivano in prossimità della spiaggia numerose meduse.

Te ne accorgi, pur non entrando in acqua perchè talvolta la marea notturna ne scaraventa sulla riva qualcuna.

Al mattino, passeggiando ti imbatti nella massa gelatinosa e bombata oppure vedi un crocchio di persone attorno al cadavere.

Tanto leggiadre e leggere sono nell'acqua, tanto inconsistenti svaniscono pian piano sulla riva, evaporando al sole.

Persi i viola, i rosa, gli azzurri appena velati che coloravano l'ombrello.

Irriconoscibili le liane dei tentacoli fluttuanti nell'acqua.

Tristezza nell'osservarle.

Eppure sembra la provi soltanto io.

E' vero, gli cnidociti urticanti sfiorando la pelle conficcano il loro veleno fastidioso nel bagnante.

Ma è il bagnante che invade il territorio altrui, è il bagnante che intercetta la rotta.

Nessuna medusa urtata dalla tua presenza ti si scaglierà mai contro.

Ancora più triste osservare i bambini gioire vicino alle meduse morte, o peggio, catturarle nel secchiello, giocarci un po' e poi rovesciarle a morire nei cestini.

Con i genitori che plaudono.

Unica consolazione: la mia piccola che tra lo stupito e l'inorridito mi riferisce tanta barbarie


lunedì 18 agosto 2008

Raccolta


Mancando ormai da quattro settimane è quanto meno necessario andare a Valbonaga per controllare l'orto.

E' anche l'occasione buona, dato l'azzurro del cielo, per l'ultimo trattamento antiparassitario alle viti.

Tristissimo osservare i grappoli ormai rinsecchiti dalla peronospora.

Anche senza essere una grande esperta viticoltrice, è chiaro che quest'anno di vino ne verrà prodotto gran poco.

Spiace per tutto l'impegno profuso invano, meno per il vino perchè a me il Valcalepio non piace troppo.
Gli aiutanti, arruolati a forza, fanno sentire deboli proteste:
"Ma lo sapete che ogni volta che ci fate respirare quelle schifezze ci accorciate la vita di almeno due ore?"
"La stima è del tutto inventata"
"Ma è chiaro che mescolando assieme parecchi prodotti nocivi non ne scaturisca una miscela salutare"
"Di cosa vi lamentate? Non c'è nemmeno il teschio in etichetta"
"Quasi scade il patentino per l'acquisto dei prodotti più pericolosi e non ne abbiamo neanche mai comperato uno"
"Cosa dovevamo fare? Andare dal venditore e chiedere - mi dia un prodotto qualsiasi con la testa da morto, dato che abbiamo la possibilità di comperarlo-?"
"Magari, essendo più efficaci, si sarebbero potuti diradare i trattamenti"

Il mio compito è la cura dell'orto: pomodori, peperoni, melanzane, zucchine sono gli ortaggi che preferisco cogliere in quanto la faccenda è abbastanza rapida.

Ci sono anche cetrioli ormai diventati giganteschi.

Li lascio dove sono perchè non saprei che farmene e le loro foglie appena sfiorate provocano sulla pelle quasi l'effetto dell'ortica.

Per ultimi dovrei cogliere i fagiolini: sono i più scomodi perchè devi abbassarti quasi a terra e non finiscono mai.

Per la pazienza che mi contraddistingue, metà delle tenere pianticelle è quasi estirpata permettendo anche una raccolta meno faticosa.

Purtroppo la mia presenza non passa inosservata.

Penso non sembri vero ai nugoli di zanzare appostate sulle foglie che qualcuno, disposto suo malgrado a fungere da fonte alimentare, si sia deciso a transitare per l'orto.

Non mi è mai capitato di essere assalita contemporaneamente da così tante belve assetate di sangue.

Sul braccio ne conto addirittura quattro che, prese dalla foga, non si curano di atterrare con delicatezza.

Spietata parte la mano, questo perchè i riflessi del midollo spinale sono più rapidi del lobo cerebrale superiore (come ho già avuto modo di spiegare agli alunni durante i predicozzi a difesa di ogni forma di vita che regolarmente devono sopportare, fossero zanzare, ragni o altro).

Sia perchè non è giusto ucciderle, sia perchè sono troppe e dei miei gesti scomposti "se ne fanno un baffo", decido che di fagiolini ne ho già raccolti abbastanza e batto in ritirata.

Una pausa per controllare pere e mele ma anche queste sono colonizzate da vespe e calabroni.

La prossima volta, prima di scendere nell'orto, mi ungerò ben bene di repellente per insetti.

domenica 17 agosto 2008

Fotografie

Riporto solo alcune delle fotografie più belle



































sabato 16 agosto 2008

Rientro

Per il momento finisce la parentesi al mare.

Dovendo rientrare nel fine settimana si decide per un rientro intelligente.

Scelta obbligata non solo dal condizionatore dell'auto che non funziona più, ma anche dal fatto che il meccanico ha staccato anche il compressore che fa partire la ventola di raffreddamento per cui ogni sosta a motore acceso porta la temperatura dell'acqua a 110° C e oltre.

Ma il giorno 16 di sabato, chi vuoi rientri?

Per sicurezza fissiamo la partenza alle ore 8.00/9.00

Ore nove: almeno un chilometro di coda solo al primo semaforo di Jesolo.

La notizia non mi sconvolge troppo perchè la tabella di marcia è fortemente disattesa.

Ore 11.50: finalmente tutto è caricato, compreso il gatto, che colta l'agitazione si era trovato un rifugio inespugnabile.

Dedicherò un intero post solo alle vacanze del gatto.

Nel frattempo però, la coda anzichè accorciarsi, si è allungata e non consola vedere una coda ben più lunga nell'altra direzione.

Forti della conoscenza del territorio, scoviamo viuzze e viette da usare come scorciatoia.

A differenza di tentativi dello stesso genere fatti in tempi passati oggi la sorte ci è benigna: non ci perdiamo nella campagna, non ci perdiamo nel centro di Mestre e arriviamo al casello dell'autostrada senza dover mai fermarci.

Lamentoso, il gatto continua però a cercare di attirare l'attenzione.

Se ne sta con la bocca aperta.

"Avrà sete" "Non morirà per un po' di sete" "Dovrà sputare una palla di pelo" Proprio adesso decide di farlo" "Forse deve fare i suoi bisogni, sta graffiando il fondo del suo contenitore"

Più per evitare sgradevoli conseguenze che per altro, sostiamo ad un autogrill.

Preso il guinzaglio e aperto il contenitore in luogo un poco appartato, si spera che il gatto si sbrighi.

Acquattato sull'erba, terrorizzato dal nuovo ambiente, strattonando il guinzaglio, l'ultimo suo pensiero deve essere quello di mettersi comodo.

Donna di somma pazienza, due minuti dopo decido che è meglio ripartire.

E superato il trauma il gatto si calma e si addormenta.

In realtà il traffico nell'ora del pranzo è abbastanza scorrevole perchè tutti i vacanzieri sembrano bloccati dalla necessità di mangiare.

Incuranti della fame si procede.

Le provviste caricate alla partenza vengono assalite dai soliti noti.

In meno di tre ore, nonostante la tappa per il gatto, siamo a casa.

In conclusione è stata una partenza intelligente

venerdì 15 agosto 2008

S. Maria Assunta


Oggi è la festa di S. Maria Assunta.

Quando avrò più tempo indagherò sul significato del drago rosso a sette teste e con dieci corna dell'Apocalisse

Con grande stupore ricevo la telefonata di mia mamma che vuole farmi gli auguri di buon onomastico.

Mi ha sempre chiamato solo con il nome tronco, che tra l'altro preferisco.

Non riesco a dare una ragione a questa novità, dopo quasi mezzo secolo di vita

Con tutte le Marie festeggiate, perchè poi l'Assunta?

Provo a cercare una ragione logica.

"Forse è perchè S. Maria Assunta è la patrona della parrocchia nella quale sono nata"

Spiegazione che mi lascia un poco perplessa.

"Forse mamma aveva solo voglia di salutarmi, chissà.."


Così ho guadagnato un altro onomastico.

giovedì 14 agosto 2008

Murano - Burano III



Arriviamo a Burano.
Già è tardi per l’isola: infatti i negozianti cominciano a ritirare le merci, le vecchie appoggiano la seggiola vicino alla porta riparata da tende di cotone a strisce verticali, compaiono numerosi gatti, tutti piuttosto magri.
Sbircio all’interno di un’abitazione che si affaccia sulla strada.
In un locale di otto metri quadrati c’è tutto: cucina, divano, letto, cesta per il gatto.
Sembra l’interno di un’abitazione di cinquant’anni fa.
Distolgo lo sguardo perché la proprietaria non gradisce la mia intrusione e mi osserva torva.
Penso al periodo invernale, alle nebbie persistenti.
Forse i colori vivaci delle abitazioni servono a rallegrare quelle lunghe serate.
Il canale che stiamo costeggiando è un rigagnolo stagnante: le barche parcheggiate ai due lati lasciano appena lo spazio sufficiente per la navigazione.
Una passerella metallica lo sfiora.
Orrenda.
Almeno però evita le scale ad una popolazione che mi sembra di soli anziani.
Non incontriamo nemmeno un bambino.
Solo gatti e persone frettolose con pizze d’asporto tra le mani.
Ad ogni albero sono appesi due o tre sacchetti pieni di immondizie.
Qualche angolo panoramico ci mostra il mare che ha cambiato colore: non più verde ma di un azzurro intenso.
Solo il rumore delle onde interrompe il silenzio.
Il traghetto delle 20.20 ci raccoglie per riportarci a Treporti.
Ci aspettano le code del rientro a Jesolo.
Vorrei addormentarmi, ma la preoccupazione che mi circonda è solo quella di cosa mangeremo per cena.


mercoledì 13 agosto 2008

Murano - Burano II

Usciti, ci avventuriamo tra le case alla ricerca dell’isola vera. Così troviamo il paese, la sua scuola, i negozi chiusi per ferie. Per l’ora e per il caldo, invece, non incontriamo nessun abitante locale.
Ritorniamo all’imbarcadero spinti dalla necessità più urgente: la merenda.
I battelli numerati arrivano con una certa frequenza, quel che manca è l’unanimità sulla prossima tappa.
“Torniamo a Burano, siamo venuti per quello”
“Andiamo in piazza S. Marco e poi decideremo”
“Facciamo il giro in battello dell’intera Venezia”
“Percorriamo il Canal Grande”
“Perché non visitiamo il Cimitero? È sul percorso” suggerisco
Fortunatamente Matteo è in montagna, altrimenti avremmo avuto una proposta in più.
Arriva il n. 42 con direzione Venezia: rimandiamo la decisione e saliamo.
Lasciata Murano, la prima fermata è il Cimitero.
“Non possiamo fermarci qui. Perché andarci? Poi è anche di cattivo auspicio.”
Tentennamenti vari e il battello è già ripartito.
Tappa successiva: Fondamenta nuove.
Nessuno propone lo sbarco, ma si scorge una gelateria nei pressi del pontile.
I variopinti colori della merce esposta attirano più del canto delle sirene.
“Più della cultura poté la gola”
Dopo tutto alla base dello stomaco, non sta il secondo cervello?
Forse ormai ben disposti dall’aver la pancia piena si decide di accontentare la mamma: prossima tappa il Cimitero.
Ritorniamo sui nostri “passi” e sbarchiamo davanti all’entrata del Cimitero, a cui è dedicata un’intera isola, circondata da muraglioni di mattoni arancioni interrotti da archi e bifore
Con noi non sbarca nessuno dei numerosi turisti che appena ti alzi ingaggiano una lotta incivile per accaparrarsi un posto a sedere, incuranti del galateo, incuranti degli sguardi sbalorditi, il volto con un’espressione assente ma ben saldi sul loro sedile.
Ovvio non sbarchi nessuno: leggiamo dal cartello che la chiusura è alle diciotto e mancano esattamente venti minuti.
Anche il guardiano ci ricorda l’orario di chiusura invitandoci a fare presto.
Un primo cortile bordato da tante piccole cappelle alcune in restauro, altre che sembrano abbandonate, ci introduce al primo campo con a destra le tombe delle suore a sinistra quelle dei frati.
Tante piccole croci bianche tutte uguali, fittissime, per alcune anche un vaso di fiori.
I viali sono bordati da cipressi, da siepi di bosso, da cartelli pieni di lettere dell’alfabeto.
Sembra un cimitero come tanti altri, solo un poco in miniatura.
Le lapidi infatti sono piccole: col marmo usato per le nostre è possibile ricavarne almeno quattro.
Zona dedicata ai caduti della guerra e continui borbottii sull’inutilità di quella visita.
“Potreste almeno dire una preghiera, siamo in un cimitero”
Si spande una voce femminile, rimbalza sui muri dei loculi, rimbomba ogni dove.
Per magia, chiamati dalla voce, compaiono persone a destra e a sinistra, si affrettano all’uscita.
Il messaggio ripetuto in tante lingue sembra perentorio: “Il Cimitero chiude”
Sollevati i figli, adesso ubbidiremo.
Ma mancano ancora dieci minuti, pieghiamo a destra e ci troviamo in un chiostro, all’entrata del convento dei frati.
Nessuno e la voce continua, i borbottii ormai sono aperta rivolta.
Rifletto: quanto poco osano i giovani. Anche ci capitasse di restare chiusi all’interno, quale sarebbe il problema?
Raggiungiamo l’uscita salutati dal guardiano giusto il tempo per risalire sul natante che adesso ci porterà a Burano.

Di fatto non abbiamo fatto a tempo a visitare un bel nulla.


continua...

martedì 12 agosto 2008

Murano - Burano

Come tutti gli anni, la vacanza include una visita a Venezia, possibilmente con mete di volta in volta diverse.
Così l’anno scorso abbiamo fatto il giro completo a piedi dell’isola S. Erasmo, mentre quest’anno ci proponiamo la visita al Museo del vetro di Murano.
Controllo orari traghetti in internet, pranzo effettuato a tempo di record, ritardo cronico sulla tabella di marcia, percorso verso Treporti confidando nell’assenza di autovelox, arrivo al parcheggio, acquisto biglietti.
Solo il tempo di fissare nella memoria la laguna fiorita di viola chiaro alla nostra destra, qualche airone che più slanciato si distingue dai gabbiani, le torri a guardia ormai dei soli campi di granoturco alla sinistra.
Si scopre che gli orari non coincidono e che il traghetto sta già per salpare.
Solo la pazienza dell’addetto alle funi di attracco ci permette di salire.
Ci guardiamo ed è lo stesso il pensiero: “Ma saremo poi saliti sull’imbarcazione giusta?”
La laguna lascia spazio ad un mare più aperto e leggermente ondulato: verde in corrispondenza delle creste, più grigio là dove sono i cavi.
Lasciamo una scia di bolle bianche tra le dame presidiate da gabbiani giganti, uno sulla sommità di ogni triade, talmente assuefatti al passaggio dei traghetti da non girare nemmeno il capo nella nostra direzione.
Superiamo due piccoli isolotti sui quali i ruderi delle costruzioni stanno per essere fagocitati dalla vegetazione: lingue di edera hanno conquistato quasi completamente i muri scrostati. Richiamano i tentacoli di piovre giganti abbarbicati sulla preda.
Superiamo l’arlecchino di Burano, rimandando a dopo la visita e arriviamo alla meta principale, l’isola di Murano, costeggiando pontili di fonderie chiuse.
Anche qui ti accoglie un’aria di abbandono.


Sbarchi ed è una successione di botteghe: dalle vetrine oggetti tutti troppo simili tra loro, troppo simili a quelli esposti a Jesolo.
Solo talvolta c’è qualcosa di veramente bello, ma noi passiamo oltre.
Ci aspetta la mostra “Fare vetro”.
Sali e scendi ponti, costeggi i canali che attraversano l’isola e arrivi, rallegrata nel percorso dai brontolamenti continui di due figli su tre, trascinati alla gita dalla tirannide dei genitori blanditi da una sorella pazza che si ferma a fotografare quanto di più insulso si incontra: un vaso di fiori, un muro rotto, uno scorcio tra case così vicine che il transito deve avvenire in fila indiana.
Visita al museo: la sezione dedicata alle tecniche di preparazione e lavorazione del vetro potrebbe anche servire alle classi.
Chissà se quando si recano in visita a Venezia è compresa questa tappa.
Tra gli oggetti esposti, per me i migliori sono quelli dell’arte contemporanea.






continua...

sabato 9 agosto 2008

Pioggia


Dopo quasi tre settimane nel pomeriggio arriva la pioggia.
Già dal mattino, osservando le Dolomiti lontane e velate dall’umidità, il cielo più scuro mostrava le prime nubi.
Un tuono, lontanissimo, preannuncia il temporale.
La cappa di afa che da almeno tre notti quasi ti impediva di respirare stagna però sul litorale.
Come presidiando la riva si oppone all’avanzata dell’aria più fresca.
Le nubi si avvicinano, il cielo diventa sempre più scuro, il sole a tratti scompare.
L’afa comincia cedere, spinta lontana da folate di vento sempre più intense, che si accavallano una sull’altra spingendo le nubi più avanti.
Un ultimo sprazzo di sole e poi comincia la pioggia.
Dapprima poche gocce, pesanti e rade.
Appena toccano il suolo, ne sparisce ogni traccia, dissolte dal calore intenso.
Poi sempre più continue mentre non ci sono tuoni, ma un brontolare continuo del cielo.
Un rombo si sostituisce all’altro con continuità.
Talvolta, perché più vicino, uno riesce ad imporsi ma è subito quasi risucchiato dal rumore di fondo e col fondo si mescola e sparisce
Luccica la strada, luccicano le foglie, l’erba del prato.
E’ un temporale tranquillo.si agitano solo le sommità delle canne di bambù così alte da superare quasi la casa
Però basta a pulire l’aria.
Tutta la sabbia sospesa è stata precipitata al suolo, respiri e ricordi che quello è l’odore dell’aria dopo la pioggia, un odore particolare. Ti sembra che ogni respiro sia più efficace.
Una scarica orizzontale e bagliori che si rincorrono tra le diverse tonalità di grigio delle nuvole
La pioggia riprende vigore, quasi l’ultimo canto del cigno, perchè già verso le Dolomiti il cielo si è fatto azzurro, le nubi bianche.
Tra poco il temporale sarà finito.
Mi spiace non essere seduta su un molo ad osservare il mare.

venerdì 8 agosto 2008

La biscia

Capita talvolta nel fare tragitti noti di incontrare qualcosa di insolito.
Stamane, pedalando verso la spiaggia, la ruota anteriore supera un serpentello che a pancia all’aria giace sul ciglio della strada.
Immediato un leggero grido per l’atavica repulsione nei confronti dei rettili striscianti, ma la deformazione professionale mi fa bloccare la bicicletta.
Ripercorro la decina di metri nel frattempo coperti perché devo sapere di cosa di tratta.
A pancia all’aria non è facile, ma con una cannuccia lo rivolto per osservarne la forma della testa, il colore, le squame.
Una voce alla mia destra mi fa notare un signore che con la zappa in mano sta sistemando l’orto.
“E’ una biscia, mi dice, vengono al canale per mangiare le rane”
Effettivamente la forma del capo non lascia dubbi: piccolina, come biscia, perché raggiunge appena i trenta centimetri e ha il diametro del mio mignolo.
Mentre rispondo al signore, almeno tre pensieri contemporaneamente mi attraversano.
Primo: scommetto che zappando è lui che l’ha trovata e dopo averla uccisa l’ha gettata sulla strada
Secondo: mi immagino quel “biscino” che razza di rane sarebbe riuscito a catturare. E l’immagine è quella di un pitone che ha inghiottito un vitello intero, come nei cartoni animati
Terzo: ma ci saranno anche vipere nei dintorni?
Nel frattempo però sto raccontando al “locale” di quando nel canale che costeggia la strada ho visto una biscia dal collare bianco enorme, lunga sicuramente più di un metro.
“Sicuro, mi risponde, ce ne sono. Si chiamano…a questo punto mi dice il nome veneto, un nome lunghissimo, mai sentito nominare, e non avendo la possibilità di appuntarmelo, me lo sono dimenticata”
Chiedo delle vipere.
“Certo, ci sono, ma sono in pineta (disterà duecento metri da dove ci troviamo) e hanno gettato esche velenose così grandi (mi indica usando pollice e indice piegati ad U, tre centimetri circa) perché i turisti non le incontrino passeggiando.”
“Ma poverine, non sono aggressive”
“Però dà fastidio incontrarle sui sentieri”
Sta parlando con una che ha appena gridato quando con la ruota della bicicletta ha superato il cadavere di una piccola biscia inoffensiva, ma in quel momento penso alla vendetta della natura: torme di topi e di ratti pronti a rosicchiare i piedi dei turisti distesi nelle loro tende a dormire.
Così imparano ad essere la causa indiretta della strage delle vipere.
Saluto e mi dirigo alla spiaggia.


giovedì 7 agosto 2008

Passeggiata


La domenica non vado mai in spiaggia e nel pomeriggio, inforcata la bicicletta, si parte per brevi escursioni.
Brevi, nelle intenzioni mie, perché poi bisogna seguire il capo gita nei suoi tragitti e non si sa mai dove si arriva.
Infatti siamo partiti attraversando la pineta pedalando con velocità da “crociera” ed era piacevole.
La pineta, nonostante sia stata sfregiata dalla costruzione di numerose casette, o addirittura da condomini, continua ad emanare il suo profumo caratteristico e qua e là vedi spuntare i resti dei fortini della prima guerra mondiale a ricordarti che il fronte passava proprio in queste zone.
Un scoiattolo a balzi è riuscito a tagliarci la strada mentre dato l’orario, tutti gli altri abitanti probabilmente erano in fase di riposo.
Finita la pineta siamo arrivati alla foce del Piave.
Un fiume vicino alla foce non è mai particolarmente bello, se poi è solcato da imbarcazioni da diporto più o meno grandi, più o meno veloci, che lo utilizzano come un’autostrada, perde quel poco di poesia che le grandi reti per la pesca sospese a mezz’aria ancora potevano dargli.
Effettuiamo l’attraversata sfruttando un ponte di barche e procediamo sul primo viottolo sterrato trovato sulla destra.
Alla mia richiesta sul perché di quella deviazione, arriva laconica la risposta: “E’ una strada che non ho mai fatto, vediamo dove va a finire”
Non solo è sterrato, ma è anche rivestito da quella simpatica ghiaietta nella quale le ruote della mia bicicletta sembra trovino gusto ad incastrarsi per cui dovendo prestare attenzione alla strada non riesco a dedicare le mie osservazioni al canale, alla sua flora e alla sua fauna.
È un territorio questo attraversato da numerosi canali, fossi, fiumiciattoli, oltre che da fiumi veri e propri.
Arriviamo alla fine del percorso.
Il viottolo, così bianco da apparire abbagliante si trasforma in un solco tra l’erba e diviene infine pura erba.
Al capolinea sulla destra la foce del Piave, sulla sinistra il canale costeggiato che vi confluisce e poco più avanti il mare.
Decido che valeva la pena fare l’esplorazione.
Però non resta che ritornare indietro.
Di nuovo sulla strada asfaltata fino ad Eraclea mare.
Qui la funesta decisione di imboccare la strada provinciale 90 per ritornare a Jesolo.
Perché sulla provinciale 90 le auto ti sfiorano, una dietro l’altra senza interruzioni, procedendo almeno a 90 km orari; perché corre tra campi coltivati senza un albero al ciglio e sotto il sole delle sedici non è proprio piacevole; perché ai campi di granoturco e di soia ancora verdeggianti, si alternano quelli nei quali il frumento è già stato raccolto che sembrano campi di cornacchie, tanto queste sono numerose.
Numerose e sgradevoli a vedersi per il richiamo ai campi di battaglia, sembrano avvoltoi che si accaniscono sui caduti.
Perché di caduti, la strada è piena: non solo ricci massacrati, ma anche numerosi uccelli che nell’attraversarla quasi raso terra per passare da un campo all’altro si sono imbattuti in un’automobile sfrecciante.
Ai bordi di un campo mi capita anche di vedere un enorme gatto selvatico accucciato probabilmente in cerca di qualche preda.
Pedali, pedali, e hai la forza solo per pensare che a un certo punto il rettilineo finirà, che ritorneranno le case.
Arriviamo alla zona industriale e poi le prime abitazioni.
Ma il paese a cui siamo arrivati non è Jesolo, come tanto avevo sperato.
Siamo ad Eraclea e quindi ci aspetta la chiusura del quadrilatero che abbiamo percorso.
Fortunatamente cominciano a comparire piste ciclabili, anche se a singhiozzo, e per lo meno si viaggia in condizioni di maggior sicurezza.
Riattraversiamo il Piave più a monte che scorre placido regalandoci le sue tonalità di verde e la sua tranquillità, per qualche secondo, perché è in arrivo un gommone a ferirlo e a rovinare tutta l’atmosfera.
Le onde che si aprono a ventaglio intercettando i piloni del ponte di legno che ci sostiene, lo fanno traballare e ci inducono a continuare il viaggio.
Arriviamo a strade già percorse e per evitare il traffico di chi già sta rientrando dopo la domenica al mare, imbocchiamo un altro viottolo tra i campi.
L’immancabile canale che ci accompagna ci mostra qualche gallinella di mare e qualche anatroccolo.
Alle canne si aggiungono equiseti che sembrano risalire al terziario tanto sono giganti rispetto a quelli che crescono da noi.
Probabilmente appartengono ad un’altra specie o forse quello è l’effetto di tutti i fertilizzanti riversati sui campi e dilavati nei canali.
È l’ambiente ideale per lo sviluppo delle larve delle zanzare; zanzare che ti ronzano attorno in cerca del rapido pasto.
Provo a pedalare più velocemente nella speranza di seminarle, credo invano.
Obbligata dal terreno accidentato a tenere le mani sul manubrio l’anticoagulante iniettato non può disperdersi come conseguenza della “grattatura” e quindi il fastidio risulta molto limitato.
Dopo due ore e mezza siamo di ritorno.
Dovrò controllare su una cartina quanto effettivamente ho percorso: da una valutazione personale, minimo, 20 chilometri.
Sono soddisfatta: dopotutto ho retto.

domenica 3 agosto 2008

Giornata missionaria

Tutti gli anni nella mia parrocchia di Jesolo la prima domenica del mese di agosto è dedicata alla giornata missionaria.
Sarà perché qui al mare, libera dalle faccende domestiche riesco a seguire la S. Messa delle 10.30 o sarà perché effettivamente la parrocchia è almeno cento miglia più avanti rispetto a quella di Rosciate, però qui la messa è più vivace.
Da noi far uscire dai banchi i bambini per la proclamazione del Vangelo e raccoglierli davanti all’altare, far recitare il Padre Nostro tenendosi per mano, mandare i bimbi a distribuire la pace a tutti, e, eresia delle eresie, far recitare proprio a loro la preghiera che conclude la consacrazione affinché l’assemblea risponda con l’amen, minimo avrebbe come risultato l’invio di messaggi scandalizzati al Vescovo perché prenda provvedimenti.
E da alcune battute fatte dal parroco non è escluso succeda anche qui.
Ma la domenica di oggi è stata ancor più rivoluzionaria.
Normalmente per la giornata missionaria, un sacerdote saveriano illustra durante l’omelia la situazione della regione del mondo da cui proviene.
Oggi è capitato don Mario Diotti che in pochissime parole è riuscito a dirci della sua fuoriuscita dal seminario ove non erano apprezzate le sue doti di poeta e compositore di canzoni, del lungo periodo trascorso a fare il “prete da spiaggia” a Lignano Sabbiadoro venendo a contatto con le vittime del terremoto del Friuli, soprattutto bambini, e infine della sua permanenza attorno al lago Tanganika in Congo, terra ricchissima e proprio per questo continuamente funestata da guerre di tutti i tipi.
Dopo questa brevissima presentazione ha preso la fisarmonica in mano, ha letto il canto ottenuto dai pensieri dei bimbi friulani e ha fatto cantare l’intera assemblea.
Altra preghiera che ci ha cantato, quella di un bimbo africano che vede la mamma in pianto perché può attingere solo acqua sporca di sangue.
In conclusione ci ha recitato una poesia di Tagore.
Terminata la funzione, uscendo, ho recuperato il fascicolo che aveva preparato nel quale sono riportati alcuni suoi scritti, canzoni e poesie oltre a materiale che ha raccolto nel mondo.
Scelgo di riportare quella scritta da Felix de Athayde del Brasile:
“Il povero ara la terra”

Il povero ara la terra
(una giornata enorme)
ara fame e miseria.
Il ricco mangia e dorme.

Il povero spacca la pietra
(la pietra viva, enorme)
spacca fame e miseria.
Il ricco mangia e dorme.

Il povero ammassa il pane
(ed ha una fame enorme)
ma chi lo mangia il pane?
Il ricco mangia e dorme.

Il povero vuole il pane
(ed è un delitto enorme)
il ricco lo imprigiona,
si segna, mangia e dorme.

sabato 2 agosto 2008

Upupe


Già i giorni scorsi i figli mi avevano fatto la segnalazione: “Nel giardino ci sono due uccelli strani. Cosa sono?”
Perché è chiaro che la mamma, nonché insegnante di scienze, deve possedere il dono della divinazione e individuare immediatamente l’oggetto di tanta attenzione.
Indago per raccogliere informazioni atte al riconoscimento.
Risultato: dimensioni non troppo grandi (siamo nel vago) colore grigio ma anche nero ma anche verde, ma anche arancione e strisce bianche (siamo nel chimerico camaleontico), con una specie di cresta strana sulla testa.
Gli unici uccelli che ricordo crestati, a parte un normalissimo gallo da escludersi date le dimensioni e poi sapranno almeno riconoscere un gallo, penso io, sono particolari pappagalli della foresta amazzonica (magari scappati a qualche collezionista) e le upupe.
Chiedo: “Non è che sono upupe?”
Ti guardano con l’aria di chi non ha capito se hai pronunciato una parolaccia (e quando mai?) o una parola straniera storpiata.
Unico a non stupirsi è Matteo che mi cita le upupe nominate da Carducci (?? Al di là delle mie reminiscenze di liceo).
Dopo diversi tentativi di farmele vedere, complici una vista che pur corretta da lenti resta molto scadente e gli uccelli che sono sempre in volo impedendomi una seria osservazione, quasi rinuncio al riconoscimento.
Ma oggi mi sono accorta che usano venire a banchettare nella parte di giardino dietro la casa.
Chiaramente il mio avvicinarsi ha come risultato la loro fuga.
Allora mi apposto dietro la finestra della camera da letto al piano superiore.
Mi ostacola un poco la zanzariera che non scorre più come in origine e mi fa vedere un mondo a quadratini ma aspetto.
Nel prato c’è già una coppia di tortore grigie che becca qua e là.
Una si ferma e distende le penne della coda facendone una sorta di ruota e poi comincia a lisciarsi da tutte le parti.
C’è anche un gruppetto di passeri pronto a spostarsi nel campo di granoturco confinante come fosse un corpo unico al minimo rumore.
Ed ecco arrivare i due attesi.
Ma anche loro, non possono venirmi un po’ più vicini?
Se ne stanno sul fondo del giardino dietro al pergolato di kiwi e tra tutte quelle foglie non riesco ad osservarli bene.
Sono abbastanza piccoli, sembrano infatti tortore se non fosse che sono più magri e presentano nella parte posteriore strisce bianche e nere. Da questa distanza non vedo nulla sulla testa e mentre uno si allontana scorgo la parte addominale arancione.
Nulla. Ancora troppo poco per essere sicuri.
Va meglio mentre sono a pranzo sotto il portico.
Ne vedo uno planare e allora furtiva mi avvicino un poco.
Sono le ali ad essere a strisce bianche e nere e il petto ad essere colorato di arancione.
Noto anche un becco piuttosto robusto e lungo almeno cinque-sei centimetri.

Non a caso Francesco aveva avanzato l’ipotesi fossero picchi geneticamente modificati.
Si accorge della mia presenza e incerto spicca un volo, tenendosi basso, quasi solo un balzo in avanti.
Si ferma e si gira verso di me e dalla testolina rizza un piccolo ventaglio in tutto il suo splendore, quasi un pavone che volesse mostrarmi lo spettacolo della sua coda.
Sta fermo un attimo e poi vola via.
Adesso sono sicura: nel mio giardino vengono a banchettare anche le upupe.

Ed è talmente bello il vederle che della loro nomea non me ne importa nulla.


Letture


Il periodo che trascorro in vacanza è quello nel quale riesco a leggere di più.
Ciò perché la mansarda che mi ospita è talmente piccola che in un’oretta circa è già sistemata e quindi è notevolmente ridotto il tempo da dedicare alle faccende domestiche.
Anche le ore passate in spiaggia senza qualcosa da leggere apparirebbero eterne e noiose, dato lo scarso interesse che dimostro a voler conoscere vita, morte e miracoli dei vicini di ombrellone.
Quindi mi porto da casa le riviste che diligentemente ho accumulato per un anno intero, alcune ancora con la pellicola protettiva, e cerco di smaltire le scorte. Mi sono portata anche dei libri e altri ne prenderò alla biblioteca del paese.
Ho cominciato con “L’oro di Mosè” di Franco Scaglia, un giallo ambientato in Israele-Palestina, con protagonista il Custode francescano della Terra Santa.
L’autore oltre a sviluppare l’intreccio con colpi di scena a sicuro effetto, tipo il rinvenimento della presunta tomba di Mosè, con annessa Arca dell’Alleanza, circondata da scheletri di templari cospiratori contro l’Imperatore e puniti da Federico II a morire di fame e di sete, dedica parecchie pagine anche alla descrizione della situazione attuale del Paese e ai rapporti tra le diverse popolazioni coabitanti in Gerusalemme.
Riporto la scena che più mi ha colpito per la sua infinita tristezza.
Il Custode si sta recando all’inaugurazione di un negozio di giocattoli di un suo amico armeno.
“Quando arrivai, la festa era appena iniziata. Vidi un bambino Amico della Roccia (musulmano) dall’aria simpatica, fermo sulla porta, indeciso sul da farsi. Forse voleva entrare, attratto da tutti quei giocattoli. I suoi occhi neri fissarono i miei. Io sorridente aprii le braccia per rassicurarlo. Mi trovavo a circa cinque metri da lui e dall’ingresso. Mi venne incontro, rispondendo al mio sorriso con un’espressione malinconica. Prese a correre, mi passò accanto, e poco prima di saltare in aria mi sembrò mi salutasse con un gesto largo di ambedue le braccia. Volai anch’io, il rumore dello scoppio mi assordò, credo. Poi non vidi e non sentii più nulla”
Per tutti i rimandi al periodo delle crociate e in particolare a Federico II, poiché non ricordo molto questo periodo di storia studiata al liceo, dovrò ripassarla anche per verificare quanto è detto di attendibile.
In conclusione posso dire che pur essendo un romanzo, si presta a numerose riflessioni utili anche se ho preferito “Il Custode Dell’ Acqua” dello stesso autore e con lo stesso protagonista, che avevo letto l’anno scorso.
Per completare la trilogia mi manca adesso “Il Gabbiano di Sale”.