giovedì 7 agosto 2008

Passeggiata


La domenica non vado mai in spiaggia e nel pomeriggio, inforcata la bicicletta, si parte per brevi escursioni.
Brevi, nelle intenzioni mie, perché poi bisogna seguire il capo gita nei suoi tragitti e non si sa mai dove si arriva.
Infatti siamo partiti attraversando la pineta pedalando con velocità da “crociera” ed era piacevole.
La pineta, nonostante sia stata sfregiata dalla costruzione di numerose casette, o addirittura da condomini, continua ad emanare il suo profumo caratteristico e qua e là vedi spuntare i resti dei fortini della prima guerra mondiale a ricordarti che il fronte passava proprio in queste zone.
Un scoiattolo a balzi è riuscito a tagliarci la strada mentre dato l’orario, tutti gli altri abitanti probabilmente erano in fase di riposo.
Finita la pineta siamo arrivati alla foce del Piave.
Un fiume vicino alla foce non è mai particolarmente bello, se poi è solcato da imbarcazioni da diporto più o meno grandi, più o meno veloci, che lo utilizzano come un’autostrada, perde quel poco di poesia che le grandi reti per la pesca sospese a mezz’aria ancora potevano dargli.
Effettuiamo l’attraversata sfruttando un ponte di barche e procediamo sul primo viottolo sterrato trovato sulla destra.
Alla mia richiesta sul perché di quella deviazione, arriva laconica la risposta: “E’ una strada che non ho mai fatto, vediamo dove va a finire”
Non solo è sterrato, ma è anche rivestito da quella simpatica ghiaietta nella quale le ruote della mia bicicletta sembra trovino gusto ad incastrarsi per cui dovendo prestare attenzione alla strada non riesco a dedicare le mie osservazioni al canale, alla sua flora e alla sua fauna.
È un territorio questo attraversato da numerosi canali, fossi, fiumiciattoli, oltre che da fiumi veri e propri.
Arriviamo alla fine del percorso.
Il viottolo, così bianco da apparire abbagliante si trasforma in un solco tra l’erba e diviene infine pura erba.
Al capolinea sulla destra la foce del Piave, sulla sinistra il canale costeggiato che vi confluisce e poco più avanti il mare.
Decido che valeva la pena fare l’esplorazione.
Però non resta che ritornare indietro.
Di nuovo sulla strada asfaltata fino ad Eraclea mare.
Qui la funesta decisione di imboccare la strada provinciale 90 per ritornare a Jesolo.
Perché sulla provinciale 90 le auto ti sfiorano, una dietro l’altra senza interruzioni, procedendo almeno a 90 km orari; perché corre tra campi coltivati senza un albero al ciglio e sotto il sole delle sedici non è proprio piacevole; perché ai campi di granoturco e di soia ancora verdeggianti, si alternano quelli nei quali il frumento è già stato raccolto che sembrano campi di cornacchie, tanto queste sono numerose.
Numerose e sgradevoli a vedersi per il richiamo ai campi di battaglia, sembrano avvoltoi che si accaniscono sui caduti.
Perché di caduti, la strada è piena: non solo ricci massacrati, ma anche numerosi uccelli che nell’attraversarla quasi raso terra per passare da un campo all’altro si sono imbattuti in un’automobile sfrecciante.
Ai bordi di un campo mi capita anche di vedere un enorme gatto selvatico accucciato probabilmente in cerca di qualche preda.
Pedali, pedali, e hai la forza solo per pensare che a un certo punto il rettilineo finirà, che ritorneranno le case.
Arriviamo alla zona industriale e poi le prime abitazioni.
Ma il paese a cui siamo arrivati non è Jesolo, come tanto avevo sperato.
Siamo ad Eraclea e quindi ci aspetta la chiusura del quadrilatero che abbiamo percorso.
Fortunatamente cominciano a comparire piste ciclabili, anche se a singhiozzo, e per lo meno si viaggia in condizioni di maggior sicurezza.
Riattraversiamo il Piave più a monte che scorre placido regalandoci le sue tonalità di verde e la sua tranquillità, per qualche secondo, perché è in arrivo un gommone a ferirlo e a rovinare tutta l’atmosfera.
Le onde che si aprono a ventaglio intercettando i piloni del ponte di legno che ci sostiene, lo fanno traballare e ci inducono a continuare il viaggio.
Arriviamo a strade già percorse e per evitare il traffico di chi già sta rientrando dopo la domenica al mare, imbocchiamo un altro viottolo tra i campi.
L’immancabile canale che ci accompagna ci mostra qualche gallinella di mare e qualche anatroccolo.
Alle canne si aggiungono equiseti che sembrano risalire al terziario tanto sono giganti rispetto a quelli che crescono da noi.
Probabilmente appartengono ad un’altra specie o forse quello è l’effetto di tutti i fertilizzanti riversati sui campi e dilavati nei canali.
È l’ambiente ideale per lo sviluppo delle larve delle zanzare; zanzare che ti ronzano attorno in cerca del rapido pasto.
Provo a pedalare più velocemente nella speranza di seminarle, credo invano.
Obbligata dal terreno accidentato a tenere le mani sul manubrio l’anticoagulante iniettato non può disperdersi come conseguenza della “grattatura” e quindi il fastidio risulta molto limitato.
Dopo due ore e mezza siamo di ritorno.
Dovrò controllare su una cartina quanto effettivamente ho percorso: da una valutazione personale, minimo, 20 chilometri.
Sono soddisfatta: dopotutto ho retto.

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