mercoledì 12 ottobre 2011

Transiti inceppati

Giorni fa ho visitato la mostra allestita nello spazio Viterbi della Provincia  "Transiti inceppati"

Era esposto materiale dell'archivio storico dell'Ospedale psichiatrico. 

Il percorso ricostruiva storie di donne e di uomini che si sono avvicendati tra le mura del manicomio, tra la fine dell'800 e i primi anni settahta del '900 (poco prima della chiusura dei manicomi determinata nel 1978 dall'approvazione della legge 180): i frequenti rapporti tra questo luogo, a torto ritenuto estraneo alla normalità del mondo, e la società civile.
Rapporti tanto intensi quanto conflittuali perché spesso finalizzati a restituire i pazienti ormai guariti alle famiglie e alle istituzioni, restii però ad accogliere soggetti considerati alieni alla società. 

Era sera, le stanze vuote, le lettere e i documenti appesi
Ho pensato a quanto quelle grafie assomigliassero a quelle di mio papà, a  quanto quei contenuti potessero essere contenuti odierni

Ormai la mostra è finita ma per l'intero commento è possibile leggere al link
  
Riporto la sezione dedicata agli alcolisti e penso agli interventi di educazione alla salute che partiranno anche quest'anno, ai ragazzi che si avvicinano all'alcool e al rischio di restarne stritolati come tra le spire di un'anaconda




 
 
Bere per abitudine così come fanno tutti in paese “sentendosi così del paese”, bere per consolazione, bere per tirarsi su e andare avanti, bere per avere il coraggio di sentirsi capaci di fare qualcosa che altrimenti non si farebbe, bere per chiudere i morsi della fame, bere per laconsapevolezza della miseria e della propria incapacità e solitudine (molti sono i celibi che appaiono bevitori), bere infine per non esserci o sentirsi per un po’ euforicamente capaci..., fuori dagli schemi, in grado di affrontare risse e anche corteggiamenti o lunghi spostamenti; bere… ieri (più presente l’alcool come causa di malattia a partire dai primi del ‘900 fino agli anni ‘70 del ‘900) come oggi è un modo per non essere del tutto in sé e con sé.

Bere è portarsi fuori dal contesto sociale e quindi da sé anche se accade nell’apparente socialità delle trattorie, cantine, taverne o circoli di amici; socialità che più spesso è già di fondo tetra per poi diventare desolante quando ognuno beve per sé, da solo, seguendo i fili dei propri vuoti.

Vuoti che sono riempiti, per essere tollerati, con un bicchiere in più; per essere allora, come ora, dimenticati, buttati giù, sostituiti da qualcosa che aiuta a non pensare o a pensare melanconicamente in un baratro che si apre sul vuoto di possibilità o anche di vitalità.

È evidente che l’alcoolismo è un segnale, un sintomo e una concausa di e in biografie che hanno altri segni, altri punti di debolezza o di sconnessione, è l’evidenza conclamata di disagi sia materiali che relazionali che precipitano in un bicchiere che li cancelli, per un attimo, alla memoria.

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