sabato 12 settembre 2009

Quando i pensieri gelavano nell'aria

Tra le letture estive anche le "Storie della preistoria" di Alberto Moravia.
Agili racconti, alcuni spassosi, altri un po' crudeli (mia figlia mi ha rimproverato di averle fatto leggere favole tristi nelle quali il protagonista viene mangiato, ma anche le favole antiche non sempre sono a lieto fine), molti utili per riflettere.
Ne riporto uno.

Dovete sapere che un milione di anni fa al polo faceva molto più freddo di oggi. Come niente la temperatura scendeva a un miliardo di gradi sottozero. Con un freddo simile, tutto ghiacciava, persino, non ci crederete eppure è così, persino il pensiero. Appena uno pensava, per esempio: "Ma che freddo boia!" subito, ecco, sulla sua testa, si formava come una nuvoletta di vapore e dentro la nuvoletta, a lettere di ghiaccio aguzze e gocciolanti come stalattiti, si poteva leggere: "Che freddo boia!".

Questo fatto dei pensieri ghiacciati e dunque visibili aveva finito per portare al logico risultato che nessuno al polo aveva il coraggio di pensare quel che sia. Tutti avevano paura che gli altri gli leggessero nel pensiero. Così alla fine orsi, pinguini, foche, cani, esquimesi, nessuno pensava a niente. Era insomma un mondo di tonti. Ma erano tonti non perché fossero in assoluto incapaci di pensare; ma per gentilezza, per delicatezza d'animo.

Uno di quei secoli (allora un secolo voleva dire un giorno), un certo Tri Checo se ne stava su un lastrone di ghiaccio a godersi il freddo, immobile, con gli occhi socchiusi, senz'altro pensiero in mente che questa paroletta: "Bah". Intanto, sulla sua testa a lettere di ghiaccio, si leggeva appunto: "Bah". Che cosa poi volesse dire con questo: "Bah", non è stato possibile saperlo.

Ecco, ad un tratto, fuori dal mare emerse tale An Guilla, tutta spiritosa e scodinzolante che gridò a Tri Checo: "Ehi Tri Checo, sta' un po' a sentire".

Tri Checo bofonchiò: "Dimmi An Guilla".

"Sta' a sentire quello che mi è successo durante il mio ultimo viaggio. Figurati che sono stata in un paese che si chiama Tro Pico dove fa un caldo, ma un caldo! E figurati: a Tro Pico i pensieri non gelano".

"Non mi dire!".

"Proprio così. Per esempio, uno ti guarda e pensa: "Che sederone ha Tri Checo!" e tu ignori questo pensiero perché laggiù, con quel caldo terribile, i pensieri non gelano e dunque restano invisibili".

"Chi dice che ho un sederone?" brontolò Tri Checo impermalito.

"L'ho detto per darti un esempio. Ascolta: perché non ce ne andiamo via dal polo, dove non si può pensare nulla che tutti subito lo sappiano? Perché non andiamo al paese del Tro Pico? Se tu sapessi che piacere pensare senza timore, in piena libertà! A Tro Pico ho fatto proprio una scorpacciata di pensieri".

"Che cosa pensavi?".

"Eh, tante, tantissime cose".

"Per esempio?"

"Mah, non so. Per esempio: il sole è verde. Oppure: due e due fanno cinque".

"Ma il sole non è verde! E due e due fanno quattro".

"Si capisce, giusto. Ma questo è il bello: puoi pensare tutto quello che vuoi e nessuno lo sa".

Insomma An Guilla tanto disse e fece che Tri Checo si lasciò convincere ad andare con lei nel paese di Tro Pico. Forse non si sarebbe deciso così presto se proprio in quel momento, da una barca che si era accostata al lastrone di ghiaccio, non fossero discesi tre uomini impellicciati e armati di bastone. Ora, al polo, tutti stanno sempre con gli occhi verso il cielo, per vedere se qualche pensiero ghiacciato si profili nello spazio. Tri Checo che guardava al di sopra delle teste dei tre uomini armati di bastone, lesse con orrore: "Adesso ammazziamo un centinaio di queste stupide bestie, a bastonate sul muso, e ci facciamo tante borsette e tante scarpe". Vedere queste parole che vibravano, gocciolavano in aria e scivolare giù dal lastrone per Tri Checo fu tutta una sola cosa. An Guilla prese a nuotare davanti a lui e Tri Checo la seguì a ruota o meglio, a pinna. Nuota e nuota, la temperatura passò da un miliardo di gradi sottozero a un miliardo di gradi sopra zero. Mamma mia, che caldo! Il mare bolliva proprio come l'acqua in una pentola; soltanto che in questo caso il fuoco non era sotto la pentola ma sopra. Tri Checo non pensava ancora a nulla; dopo milioni di anni passati senza pensare, la sua testa era ancora paralizzata; ma ogni tanto, pur nuotando, interrogava An Guilla: "An Guilla, carissima An Guilla, stai già pensando?"

"E come!".

"E cosa pensi?".

"Penso tante cose di te".

"Per esempio?"

"Ah, non te lo dico: potresti offenderti".

Tri Checo ci rimase male. Al polo, come abbiamo detto, nessuno pensava nulla di nessuno. E ora, invece, ecco An Guilla, che, approfittando del fatto che a Tro Pico i pensieri restano invisibili, pensava di lui chissà quali cose antipatiche. Pettegola, sciocca, ipocrita creatura! Tutt'ad un tratto Tri Checo si accorse di pensare molto male di An Guilla; e fu sicuro che An Guilla, dal canto suo, pensava molto male di lui. Lo stesso, del resto, succedeva con tutti coloro nei quali via via si imbatteva al paese di Tro Pico. Tutti facevano i più grandi complimenti a Tri Checo: "Bene arrivato, come sei bello, che muso intelligente, che occhi espressivi, che bei baffi ecc. ecc."; ma Tri Checo era sicuro, arcisicuro che se fossero stati al polo lui avrebbe letto per aria, a lettere di ghiaccio: "Ci voleva anche lui adesso, che bruttone, che muso, che occhietti di porco, che baffoni cadenti eccetera eccetera". Questa certezza che nel paese di Tro Pico tutti pensassero il contrario giusto di quello che dicevano, avvelenava il soggiorno di Tri Checo.

Uno di quei giorni, nel mezzo del golfo di Guinea, sotto un sole da un miliardo e mezzo di gradi sopra zero, un certo individuo dalla pelle scura a nome A Fricano se ne stava in barca con la moglie e i figli e cantava una canzoncina ad An Guilla che stava ad ascoltarlo rapita, a bocca aperta: Anguilla, anguilla,/ come sei bella/ così grassottella,/ e tuttavia snella./ Anguilla, anguilla,/ come sei bella!//

An Guilla, attirata da queste parole gentili, dimenticando evidentemente che nel paese di Tro Pico si dice una cosa e se ne pensa un'altra, si avvicinò alla barca. Allora A Fricano, lesto, gettò la rete e in men che lo dico, la povera An Guilla fu presa, fatta a pezzi, panata, fritta e divorata. Tri Checo aveva assistito inorridito a questo scempio. Si allontanò pensando: "Che orrore! Ah, viva la faccia di noialtri del polo, che non pensiamo mai nulla e se pensiamo, tutti possono vedere quello che pensiamo".

Tuttavia, un po' per la novità dei luoghi e dei costumi, un po' per pigrizia Tri Checo non ripartì per il polo. Oltretutto, perché non ammetterlo? Questo fatto di poter pensare senza che gli altri leggessero nel pensiero e soprattutto di pensare il contrario di quello che poi diceva e faceva, lo affascinava. Così Tri Checo restò nel paese di Tro Pico e ne adottò le abitudini. Certo non era un mondo così leale e trasparente come quello del polo; in compenso, però, il fatto di pensare per conto proprio, senza controlli esterni, portava a degli sviluppi impensati. Per esempio, pensa che ti ripensa, Tri Checo arrivò a pensare cose molto elevate, addirittura filosofiche; cose di questo genere: Chi siamo? Da dove veniamo? Qual è il nostro destino? Perché ci siamo? Dove andremo?

Erano, insomma, le domande che ci si pone se, tanto tanto, non si vive per mangiare ma si mangia per vivere. Le risposte erano: siamo tutti trichechi; veniamo dal polo; il nostro destino è di mangiare pesci; ci siamo perché ci ha creati un essere supremo che, manco a dirlo, ha la forma di un gigantesco tricheco; alla fine lasceremo il paese di Tro Pico così falso e bugiardo e torneremo al paese della lealtà e della verità, cioè al polo.

E questa fu infatti la conclusione del viaggio di Tri Checo al paese di Tro Pico. Un bel giorno, stufo di pensare una cosa e di dirne un'altra, Tri Checo ripartì per il polo. "Sì," pensava, "non pensar più, che riposo! Star lì immobili, vuoti, senza pensieri, per almeno un milione di anni!".

Ahimè, illusioni. Una volta al polo, sul suo vecchio lastrone di ghiaccio, Tri Checo si accorse che ormai aveva preso il vizio e, per quanto si sforzasse di non farlo, non poteva fare a meno di pensare. Naturalmente tutti i suoi pensieri apparivano immediatamente al di sopra della sua testa, scritti in scintillanti e diafane parole di ghiaccio. Orsi, pinguini, foche, pesci e pesciolini vedevano questi pensieri ghiacciati e facevano a gara a scappare lontano da lui. Già, perché al polo, allora, pensare era considerato se non altro, una grave sconvenienza; come da noi passeggiare nudi per le strade.

Il povero Tri Checo dal canto suo, vedendo i suoi amici di un tempo evitarlo e sfuggirlo, non poteva fare a meno di pensarne tutto il male possibile. Questo male subito si esprimeva in nuvolette piene di ingiurie e invettive raggelate e così il fossato tra Tri Checo e la gente del polo si approfondiva, diventava invalicabile. In breve Tri Checo rimase solo sul suo lastrone, per sempre solo.

Da allora a oggi, la temperatura è molto salita al polo in modo che i pensieri non gelano più, sono diventati invisibili. Ciò nonostante, Tri Checo ha ormai preso l'abitudine della solitudine e non se la fa più con nessuno. Solo sul suo lastrone, pensa. Che pensa? Pensa con nostalgia ai tempi in cui non si pensava perché i pensieri erano visibili.

Bei tempi spensierati benché freddi!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

in questa giornata di freddo boia mi è tornato in mente questo racconto che ho letto in prima media e stavo giusto accingendomi a scriverci su non primadi aver verificato l'autore. insegnante ci fece illustrare con dei fumetti l'intero racconto...bellissimo. cmq...solo un pensiero di passaggio..."CHE FREDDO BOIA!"

Anna Maria Rossi ha detto...

oggi a me si è congelato il medio e avevo anche i guanti..