Giorni fa ho visitato la mostra allestita nello spazio Viterbi della Provincia "Transiti inceppati"
Era esposto materiale dell'archivio storico dell'Ospedale psichiatrico.
Il percorso ricostruiva storie di donne e di uomini che si sono avvicendati tra le mura del manicomio, tra la fine dell'800 e i primi anni settahta del '900 (poco prima della chiusura dei manicomi determinata nel 1978 dall'approvazione della legge 180): i frequenti rapporti tra questo luogo, a torto ritenuto estraneo alla normalità del mondo, e la società civile.
Rapporti tanto intensi quanto conflittuali perché spesso finalizzati a restituire i pazienti ormai guariti alle famiglie e alle istituzioni, restii però ad accogliere soggetti considerati alieni alla società.
Era sera, le stanze vuote, le lettere e i documenti appesi
Ho pensato a quanto quelle grafie assomigliassero a quelle di mio papà, a quanto quei contenuti potessero essere contenuti odierni
Ormai la mostra è finita ma per l'intero commento è possibile leggere al link
Riporto la sezione dedicata agli alcolisti e penso agli interventi di educazione alla salute che partiranno anche quest'anno, ai ragazzi che si avvicinano all'alcool e al rischio di restarne stritolati come tra le spire di un'anaconda
Bere per abitudine così come fanno tutti in paese “sentendosi così del paese”, bere per consolazione, bere per tirarsi su e andare avanti, bere per avere il coraggio di sentirsi capaci di fare qualcosa che altrimenti non si farebbe, bere per chiudere i morsi della fame, bere per laconsapevolezza della miseria e della propria incapacità e solitudine (molti sono i celibi che appaiono bevitori), bere infine per non esserci o sentirsi per un po’ euforicamente capaci..., fuori dagli schemi, in grado di affrontare risse e anche corteggiamenti o lunghi spostamenti; bere… ieri (più presente l’alcool come causa di malattia a partire dai primi del ‘900 fino agli anni ‘70 del ‘900) come oggi è un modo per non essere del tutto in sé e con sé.
Bere è portarsi fuori dal contesto sociale e quindi da sé anche se accade nell’apparente socialità delle trattorie, cantine, taverne o circoli di amici; socialità che più spesso è già di fondo tetra per poi diventare desolante quando ognuno beve per sé, da solo, seguendo i fili dei propri vuoti.
Vuoti che sono riempiti, per essere tollerati, con un bicchiere in più; per essere allora, come ora, dimenticati, buttati giù, sostituiti da qualcosa che aiuta a non pensare o a pensare melanconicamente in un baratro che si apre sul vuoto di possibilità o anche di vitalità.
È evidente che l’alcoolismo è un segnale, un sintomo e una concausa di e in biografie che hanno altri segni, altri punti di debolezza o di sconnessione, è l’evidenza conclamata di disagi sia materiali che relazionali che precipitano in un bicchiere che li cancelli, per un attimo, alla memoria.
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