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venerdì 29 ottobre 2010

Bello


Ricevo la segnalazione per un link con il commento "cliccate è veramente bello"

Leggo il testo di una canzone e penso "è bello"

Ascolto una musica "bella"

Ma cosa è il bello?

Il bello è una categoria dell'estetica che fin dall'antichità ha rappresentato uno dei tre generi supremi di valori, assieme al vero e al bene.

Per i Greci e per i Romani questo termine aveva un'estensione più ampia di quella attuale, comprendeva infatti tanto gli oggetti belli quanto i pensieri. Se gli antichi potevano fare a meno della nozione di bello in senso stretto era perché avevano termini appropriati per il bello visibile, chiamato simmetria, come per il bello udibile, chiamato armonia.

Nell'antichità si formulò quindi la teoria secondo la quale il bello consiste nella proporzione e nella appropriata disposizione delle parti. .

E l'armonia associata al bello viene ripresa anche da Kant.

Nella Critica del giudizio analizza il bello dandone quattro definizioni, che delineano altrettante caratteristiche:

  • il disinteresse: secondo la qualità un oggetto è bello solo se è tale disinteressatamente quindi non per il suo possesso o per interessi di ordine morale, utilitaristico ma solo per la sua rappresentazione;
  • l'universalità: secondo la quantità il bello è ciò che piace universalmente, condiviso da tutti, senza che sia sottomesso a qualche concetto o ragionamento, ma vissuto spontaneamente come bello;
  • la finalità senza scopo: secondo la relazione un oggetto è bello non perché fosse il suo scopo esserlo ma è come se vedere un oggetto bello sia vedere la sua compiutezza anche se in realtà non vi è alcun fine;
  • la necessità: secondo la modalità è bello qualcosa su cui tutti devono essere d'accordo necessariamente ma non perché può essere spiegato intellettualmente; anzi, Kant pensa che il bello sia qualcosa che si percepisce intuitivamente: non ci sono quindi "principi razionali" del gusto, tanto che l'educazione alla bellezza non può essere espressa in un manuale, ma solo attraverso la contemplazione stessa di ciò che è bello.
Dal bello passa poi alla definizione di sublime. Ogni volta mi soffermo su questi argomenti provo un grande rimpianto. Ma cosa facevo, cosa pensavo nei tre anni di liceo durante le lezioni di filosofia? Perchè mi è rimasto solo il ricordo di pagine imparate più o meno a memoria senza aver mai capito nulla?

martedì 6 aprile 2010

Pascal



L'uomo è solo una canna, la più fragile della natura; ma una canna che pensa.

Non occorre che l'universo si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d'acqua bastano ad ucciderlo.

Ma, quand'anche l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe sempre più nobile di quel che l'uccide, perchè sa di morire ed è conscio della superiorità che l'universo ha su di lui; l'universo non ne sa nulla.

Tutta la nostra dignità consiste, dunque, nel pensiero


Noi non ci atteniamo mai al tempo presente.
Anticipiamo il futuro come troppo lento a venire, come per affrettarne il corso; oppure ricordiamo il passato per fermarlo come troppo rapido; così imprudenti che erriamo nei tempi che non sono nostri, e non pensiamo affatto al solo che ci appartiene, e così vani, che riflettiamo su quelli che non sono più nulla, e fuggiamo senza riflettere quel solo che esiste. Il fatto è che il presente, di solito, ci ferisce.
Lo dissimuliamo alla nostra vista perché ci affligge; se invece per noi è piacevole, rimpiangiamo di vederlo fuggire.
Tentiamo di sostenerlo per mezzo dell'avvenire, e ci preoccupiamo di disporre le cose che non sono in nostro potere, per un tempo al quale non siamo affatto sicuri di arrivare.
Ciascuno esamini i propri pensieri: li troverà sempre tutti occupati dal passato e dal futuro.
Il presente non è mai il nostro fine: il passato ed il presente sono i nostri mezzi, solamente il futuro è il nostro fine.

In questo modo non viviamo mai, ma speriamo di vivere; e, disponendoci sempre ad essere felici, è inevitabile che non lo siamo mai.



Noi conosciamo la verità non soltanto con la ragione, ma anche con il cuore.
I princìpi si sentono, le proposizioni si dimostrano, e il tutto con certezza, sebbene per differenti vie.
Ed è altrettanto inutile e ridicolo che la ragione domandi al cuore prove dei suoi primi princìpi, per darvi il proprio consenso, quanto sarebbe ridicolo che il cuore chiedesse alla ragione un sentimento di tutte le proposizioni che essa dimostra, per indursi ad accettarle.
Questa impotenza deve, dunque, servire solamente a umiliare la ragione, che vorrebbe tutto giudicare, e non a impugnare la nostra certezza, come se solo la ragione fosse capace d’istruirci.
Piacesse a Dio che, all’opposto, non ne avessimo mai bisogno e conoscessimo ogni cosa per istinto e per sentimento! Ma la natura ci ha ricusato un tal dono; essa, per contro, ci ha dato solo pochissime cognizioni di questa specie; tutte le altre si possono acquistare solo per mezzo del ragionamento.
Ecco perché coloro ai quali Dio ha dato la religione per sentimento del cuore sono ben fortunati e ben legittimamente persuasi.
Ma a coloro che non l’hanno, noi possiamo darla solo per mezzo del ragionamento, in attesa che Dio la doni loro per sentimento del cuore: senza di che la fede è puramente umana, e inutile per la salvezza.

sabato 8 novembre 2008

Repubblica


Periodo di nostalgia per la filosofia, studiata probabilmente sempre senza capir nulla, spinta dal terrore per le interrogazioni.

Riprendendo la lettura di alcuni autori scopro quanto ho perso allora.


La Repubblica di Platone costituisce uno dei testi chiave della filosofia politica occidentale, che non ha mai cessato di provocare dibattiti.

Platone l'utopico, il comunista, il nazifascista?

Si può leggere in una scritto solo quello che vi si cerca, tralasciando completamente altre considerazioni non in linea con il nostro pensiero?

Ecco perchè sarebbe molto meglio prendere tra le mani il testo originario e leggerlo anche se piuttosto lungo

E' pur vero che un passaggio, il più famoso, è molto suggestivo, anche se rischia di essere travisato proprio perchè estratto dal suo contesto originario

“…Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo coppieri che gliene versano quanto ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono sono dichiarati tiranni.

E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendono gli stessi diritti, la stessa considerazione dei vecchi, e questi per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani.

In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo né rispetto per nessuno.

In mezzo a tanta licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia"


Ci sarà qualche mio alunno che in un lontano futuro riscoprirà la chimica e la biologia?

giovedì 6 novembre 2008

L'atomo quantistico

Preparando le lezioni relative all'atomo quantistico, mi capita di trovare anche numerosi agganci sia alla storia sia alla filosofia.
Ed è proprio un peccato, un'occasione culturale estremamente valida che viene perduta non poter presentare agli studenti una visione più completa e ciò per le difficoltà a far coincidere gli argomenti trattati (atomo in terza e filosofia del novecento in quinta) e la tendenza dei diversi insegnanti a coltivare ciascuno il proprio orticello.
Sapendo di incamminarmi sulle sabbie mobili data la mia scarsa competenza in materia, riporto quanto ho trovato.

Le implicazioni filosofiche del principio di Heisenberg portarono alcuni scienziati ad interpretare il concetto dell'indeterminazione come un rovesciamento del tradizionale concetto di causa-effetto, mettendolo fortemente in crisi

Secondo il determinismo della fisica classica, la conoscenza delle leggi e dei dati relativi ad un certo istante consente di prevedere con assoluta certezza l'evoluzione di un sistema.
La fisica classica ritiene di conoscere le leggi e ammette, almeno in linea di principio, che sia consentito conoscere i dati.
Molti fenomeni (quali il lancio di un dado) sono di fatto imprevedibili a causa della mancata conoscenza delle condizioni iniziali.
Tuttavia essi diventerebbero perfettamente prevedibili nel momento in cui si acquisisse tale conoscenza, concettualmente possibile per la fisica classica. Condizioni iniziali differenti produrranno differenti evoluzioni del sistema.
Questa rigida concezione deterministica, se estesa all'intero universo, si presta ad una critica strettamente legata al problema del libero arbitrio.
Per dedurre una legge fisica, lo sperimentatore deve avere la libertà di scegliere condizioni iniziali diverse e constatare, di conseguenza, differenti evoluzioni. Tuttavia, se l'intero Universo è rigidamente deterministico, lo sperimentatore, in quanto parte dell'universo, non è affatto libero nelle sue scelte.
Le condizioni iniziali che egli ritiene di scegliere sono in realtà determinate dalla storia precedente dell'intero universo.
La legge fisica che egli ritiene di dedurre sarebbe pertanto completamente priva di senso.

La fisica quantistica ha sferrato un colpo mortale alla visione deterministica della fisica classica.

La mancata conoscenza esatta dei dati relativi alle condizioni iniziali (conseguenza del principio di Heisenberg) che impedisce di prevedere esattamente i valori futuri assunti dalle diverse grandezze fisiche che caratterizzano lo stato di un sistema.
Questa impossibilità ci obbliga a previsioni esclusivamente di tipo statistico


Il principio di indeterminazione ha quindi causato una riflessione circa il libero arbitrio, sulla posizione dell’uomo nell’universo.
Nell’ambito della storia della filosofia, è possibile individuare due schieramenti a riguardo.
Per alcuni filosofi "libero arbitrio" significa sostanzialmente assenza di costrizioni.
In altre parole un soggetto è libero quando non è indotto a una scelta in contrasto con quelle che sarebbero le sue preferenze.
Per altri invece, per essere veramente liberi, occorre qualcosa di più.
Sarebbe cioè necessaria anche la capacità di scegliere in contrasto con le proprie preferenze senza essere vincolati dal proprio carattere, dalle proprie aspirazioni e dalle circostanze in cui avviene la scelta.
Questa seconda posizione è stata ben espressa da Schopenhauer quando affermò che "l'uomo è libero di fare ciò che vuole, ma non di volere ciò che vuole".